Capitolo 6: Buttons

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Louis, ormai, trascorreva più tempo a casa di Harry che altrove.

''È troppo grande,'' gli aveva detto Harry una volta con la tristezza che gli riempiva gli occhi. ''A volte porto i miei dipinti in cucina, semplicemente per renderla meno vuota.''

''Mi dispiace, piccolo,'' gli aveva detto lui, e allora la tristezza di Harry si era tramutata in un sorriso.

''Con te non è così. La rendi meno silenziosa.''

''Stai dicendo che sono rumoroso?''

Harry aveva alzato le spalle ed era tornato a riversare una quantità spropositata di verdure nel suo frullatore.

''Sto dicendo che appartieni a questa casa,'' fu quello che a Louis parve di sentire dopo, dal momento che le parole del ragazzo erano state inghiottite dal suono assordante del frullatore.

Sperò di aver sentito bene.

Harry aveva ragione, ovviamente, in merito al fatto che la casa fosse troppo grande. Era enorme e c'erano giorni in cui Louis scendeva le scale, i capelli in disordine dopo essersi appena svegliato e avvolto in uno dei pantaloni del ragazzo, e arrivava di fronte al frigorifero dove puntualmente trovava un foglietto attaccato sopra la porta, un foglietto che recitava 'sono dovuto andare a lavoro, torno presto, baci' o ''la colazione è in microonde. Divertiti a lavoro. Mi dispiace di essere andato via la scorsa notte', e in quei momenti, non riusciva a respirare.

C'erano giorni in cui quella grandezza sembrava essere più un vuoto che uno spazio in cui sentirsi bene.

C'erano giorni in cui Louis si svegliava ed Harry era già andato via, giorni in cui il ragazzo andava via ancora prima che lui si addormentasse, e non sapeva dire cosa fosse peggio. Si chiese se i ragazzi o le ragazze – non glielo aveva ancora chiesto – con cui andava a letto, sapessero che aveva qualcuno che lo aspettava a casa. Sinceramente cercava di non pensarci troppo, focalizzandosi piuttosto sulle attenzioni e i pensieri del ragazzo, sull'Harry che aveva di fronte, quello che indossava giacche dalle tinte stupide color pastello e dalle dita macchiate di pittura, l'Harry con le fossette e il sorriso timido che accompagnava sempre con il rossore delle guance e la testa che abbassava con imbarazzo. Cazzo, alle volte però non riusciva a non pensarci. La sua testa girava all'impazzata, senza controllo, gli capitava di stringere le mani del ragazzo sul suo grembo e si chiedeva se le persone che lo frequentavano di notte, gli avessero mai chiesto della sua pittura, se sapevano che la pennellata blu sul suo mignolo, fosse stata causata da quella volta in cui gli aveva dipinto le braccia interamente di blu.

''Per farti assomigliare agli Avatar,'' gli aveva detto.

Louis lo aveva baciato per zittirlo.

A volte Harry si strofinava le mani per ore, per liberarsi della pittura, e lui si sentiva segretamente grato quando non riusciva a liberarsene interamente.

Non gli andava di pensare al simbolismo che si celava dietro quel sollievo.

Non gli piaceva pensare di essere qualcosa che Harry doveva nascondere.

Ciò che aveva imparato dal ragazzo, era che non dava molto peso al suo lavoro. Ne parlava raramente, ma Louis aveva appreso alcune cose, come ad esempio che lavorava in un'agenzia alquanto prestigiosa e che la suddetta agenzia si era comportata molto bene con lui in passato. Una volta gli aveva inoltre detto, con naturalezza, che non era un lavoro così pessimo, e per tutto il tragitto verso la libreria, lui era stato sull'orlo delle lacrime, perché come poteva Harry essere così noncurante su un qualcosa che invece lo corrodeva internamente?

Era una merda, quella era la verità, perché lui non riusciva a separare il sesso dai sentimenti nello stesso modo in cui, a quanto pareva, riusciva a fare Harry, e così, quando in alcuni giorni trovava una nota attaccata al frigorifero, Louis si immobilizzava in cima alle scale, prima di ritornare in camera da letto e nascondersi sotto le coperte, con quel foglietto accartocciato nel pugno e il naso premuto nel cuscino.

Little Technicolor Things [Larry Stylinson || Italian Translation]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora