BIANCO

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Buio.

Eterna e tranquilla oscurità.

Dopo il sonno abbiamo solo pochi istanti prima di aprire gli occhi e tornare a vedere la realtà. In questi attimi sottili possiamo affondare nella dolce quiete del nulla, dove non ci sono immagini e suoni. Solo una inaspettata melodia che scorre nelle vene massaggiando quello che la carne non permette.

Un sole violento mi strappa gli occhi lasciandoli senza difese. Davanti a me si apre una distesa bianca che sfavilla di fastidio; proprio il contrario di dove mi trovavo.

Il cervello è confuso, è costretto a svegliarsi assieme al corpo, e non riesce a rendersi conto della luce che continua a bussargli dentro. Mi induce a sbattere e riaprire le palpebre, quasi come se volesse ritornare nel tranquillo nero. Ma non si può e non resta altro che affrontare la realtà, quella che è.

Il bianco così irritante si rivela alla fine come il soffitto della mia stanza. Non è neanche così bianco; presenta degli aloni gialli, opachi e timidi, come se la parete fosse imbarazzata dal trovarsi in mezzo tra uno sguardo e un battito di ciglia.

Dopo che ho ripreso coscienza tutto il resto procede in modo meccanico, come se qualcuno mi avesse programmato per fare determinate azioni.

Tolgo le coperte da sopra il mio corpo, sfidando il freddo di metà novembre. I movimenti sono goffi e imprecisi.

Alzo il busto lasciando le gambe distese per poi trascinarle con uno sforzo fuori dal letto, dove un pavimento gelido aspetta di mordere i miei piedi.

Un brivido passa per il corpo come una scossa elettrica. Pochi secondi e tutto si stabilizza.

La nebbia attorno agli occhi non mi impedisce di scorgere le mie pantofole, che distano qualche metro dal letto. D’un colore più neutro del grigio sono poste in un curioso disordine che le disegna come una croce venuta male.

Ormai alzarsi è una cosa talmente regolare che non trovo nessuna differenza tra una macchina arrugginita e me. Schiena in posizione verticale, gambe giù, sforzo dei quadricipiti e ancora schiena dritta. Sto bene attento a ricercare quel suono di ossa infrante che produce la schiena quando viene stiracchiata. Il sollievo che ne ricavo è simile a quello di un alito di vento in una estate calda, ma sono consapevole che si tratta dell’unico rumore positivo prodotto dal il mio corpo.

La mia bocca si allarga da sola per imitare la schiena, inspira aria facendola passare lungo il tunnel che va dalla gola sino ai polmoni, per poi espirarla e buttarla via con violenza.

Dal comodino vicino al letto raccolgo gli occhiali dalle lenti spesse, e li accompagno sopra il naso.

Non ricordo quando la miopia ha iniziato a sbiadirmi la visuale, ma credo che arrivati a una certa età sia normale. In fondo tutto è questione di tempo, per le cose belle e per quelle cose brutte. Comunque riesco a inquadrare le pantofole e a raggiungerle in fretta, in fuga dal pavimento antartico.

Il calore ai piedi. Mi sento miserabilmente meglio e il mio animo non può che produrre un altrettanto misero sorriso. Percorro tutto il lato verticale del letto, giro a destra e scorro lungo quello orizzontale.

Dormo sempre sul lato sinistro del letto. È un’abitudine. Non ricordo quando è iniziata.

Ho sempre dormito a sinistra e mia moglie a destra.

Era la regola.

Una regola che si è imposta da sola senza che nessuno dicesse niente. Alla fine ricerchiamo sempre delle regole, che lo vogliamo o meno. Per quanto piccole possano essere ce le imponiamo, non ci danno fastidio. Probabilmente una totale libertà ci farebbe solo male.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Mar 05, 2015 ⏰

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