Capitolo 52

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Mina aveva passato tutta la giornata al lago con Oliver. Non ricordava molto delle ore appena trascorse, se non il senso di leggerezza misto a spensieratezza che raramente aveva provato nella vita. Stava toccando con mano una felicità illusoria a cui non voleva rinunciare, e poco importava che niente fosse reale. Sapeva, dentro di sé, che quei comportamenti avrebbero potuto segnare la sua fine, ma non aveva prospettive migliori per cui lottare. Era sola, abbandonata a se stessa.

Entrando in casa, si trovò distrattamente di fronte l'enorme specchio dell'ingresso. Si guardò e, per l'ennesima volta, faticò a riconoscersi. La ragazza che aveva di fronte era stanca, il viso smorto colorato soltanto da due occhiaie evidenti. La sua faccia era diventata uno spigolo, e anche sotto il bardamento invernale erano visibili tutti i chili persi.

Non era più Mina Ramon, la ragazza più bella e invidiata di Moonlight. Da quando aveva tagliato i capelli da sola, avevano completamente perso la loro bellezza. Aveva smesso di curarli, come aveva smesso di curare se stessa. E nessuno sembrava accorgersene.

Quel confronto durò poco. Eva la travolse come un tornado, prendendola per un braccio e costringendola a guardarla negli occhi.

«Dico, sei impazzita? Hai visto che ore sono?» urlò.

«Ho perso la cognizione del tempo» rispose lei distratta, allontanandosi. Raggiunse in fretta la sua stanza, chiudendosi la porta alle spalle. Si buttò sul letto senza neanche spogliarsi. Sperava che l'avrebbe lasciata in pace, ma Eva era testarda, e Mina ne stava combinando troppe.

«I maestri ti hanno aspettata per ore» continuò la donna, piombando nella stanza. Mina perseverò nell'indifferenza, divertita dallo sguardo furioso e spaesato della matrigna, che stava perdendo ogni potere.

«Mi dispiace» si limitò a dire.

«Ti dispiace? Solo questo sai dire?» la sfidò, avvicinandosi sempre più. Era in piedi, a un palmo da Mina, fredda come solo lei sapeva essere.

«Che devo dirti? È l'ultimo anno, è un delirio» provò a giustificarsi. Eva non avrebbe creduto a una parola, Mina lo sapeva, ma, per la prima volta, questo non la preoccupava. E non la preoccupava nemmeno che Carlos ascoltasse quella conversazione. Stava diventando incapace di provare emozioni.

«Ti stai giocando il futuro, non lo capisci?» sbraitò Eva. Mina si alzò in ginocchio sul letto, sempre più vicina al volto della donna che l'aveva cresciuta.

«E tu non capisci che non mi importa?» chiese retorica a denti stretti. Eva sussultò, impaurita. Non l'aveva mai vista così.

Indietreggiò e, senza accorgersene, andò contro il comodino. E fu un attimo. Mina fissò la scena impotente, come in quei fastidiosi slow-motion da film. Vide la cornice vacillare e finire rovinosamente a terra. Il vetro spezzato. Eva fece un altro passo indietro, terrorizzata dallo sguardo di quella bambina che più bambina non era. Finì sul vetro, che si ruppe ancora, graffiando anche la foto.

Mina si buttò a terra per vedere i danni e quando vide il volto di Nadia sfigurato, iniziò a urlare e a spingere Eva fuori dalla stanza. Uscì con lei e corse fuori casa, recuperando cappotto e chiavi dell'auto.

Guidò travolta dalle lacrime e, quasi senza accorgersene, si ritrovò all'ingresso del cimitero. Era notte, il cimitero era chiuso e il silenzio che la circondava riusciva a inquietarla. Non che quel luogo fosse mai rumoroso, ma la luce del sole riusciva a donargli una strana serenità che la notte gli toglieva completamente.

Si guardò intorno, in cerca di qualcuno. Forse sperava di vedere Colin in quella fitta boscaglia circostante. I tossici non avevano orari e sapeva che, se avesse cercato, ne avrebbe trovato qualcuno tra gli alberi. Decise comunque di non avvicinarsi. Aveva ben impresso lo sguardo schifato e impotente del ragazzo, quando l'aveva vista poche ore prima. Aveva deciso nel pomeriggio di non dargli peso, Colin non faceva più parte della sua vita e non aveva alcun diritto di giudicarla.

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