«Raissa, non voglio vestirti d'ansia, ma tra tutte le cameriere, tu sei l'unica della quale mi fido ciecamente. E che indipendentemente da chi avrai difronte, saprò che li tratterai a pari livello di tutti gli altri, sempre con il sorriso sulle labbra, educata e gentile...»
Per riuscire a pagare tutte le bollette, e a vivere, non nel lusso più sfrenato, ma nella media, Raissa oltre a lavorare come commessa nel negozio di giocattoli vicino a piazza Castello, la sera lavorava come cameriera in uno, come ama definirlo lei, mezzo ristorante stellato: La Cantina Torinese. Un ristorante tra il moderno ed il classico, situato fuori il centro abitato di Torino, vicino il fiume Po e un piccolo parco naturale, punto forte del locale nei periodi primaverili ed estivi. Aveva trovato lavoro in questa "famiglia" quando ancora aveva sedici anni, e Gabriele il proprietario del locale, dopo una settimana di prova l'aveva assunta, meravigliato da come sapeva farci con i clienti e con i sorrisi. Gabriele ancora oggi ricordava, perfettamente il loro primo incontro, lei tutta timida ed insicura che stava cercando un posto dove lavorare per guadagnare i primi soldini da mettere via, e lui che stava cercando ragazze con esperienza ed estroversità da vendere. Le suppliche e gli occhioni dolci della giovane donna, lo convinsero a farle fare quella prova, ancora ignaro del talento nascosto che aveva dentro di sé, e che la sua timidezza tendeva a nascondere perfettamente.
«...Quindi sta sera ti affido il privè. Alcuni ragazzi della prima squadra della Juventus saranno a cena da noi, e voglio che questa non sia né la prima né ultima volta da noi... Pensi di potercela fare??» le chiese, appoggiando le mani sulle spalle coperte dalla camicia bianca, e gli occhi fissi su quelli di Raissa che un cenno del capo annuì aggiungendo un divertentissimo «Okay io ed il calcio siamo due rette parallele, ma questi ragazzi mi ameranno così tanto, che se ritorneranno sarà solo ed esclusivamente per me è non per l'ottima atmosfera di questo mezzo ristorante stellato!!»
Delle volte, Raissa, se ne usciva spesso con queste battutine, cercando di mostrare un lato di se che proprio non le apparteneva: l'estroversità e la sicurezza del suo corpo e della sua mente.
Ogni volta che doveva descriversi, il primo aggettivi che le veniva sempre in mente era: "introversa da morire". Ma se poi continuava a pensarci, veniva fuori anche "insicura del mio corpo" "brutta" "infantile" ecc., insomma tutti difetti e caratteristiche super negative. Se poi quella descrizione doveva essere trasformata in un disegno, le prime cose che le venivano in mente di disegnare, ma che allo stesso tempo non voleva affatto disgenare, erano proprio i suoi occhi e quella cicatrice che si ritrovavo in mezzo ai seni sempre presente ma ormai sbiadita, che le ricordavano, ogni santissimo giorno, il motivo per la quale i suoi genitori non l'avevano voluto con sé.
Era arrivata a domandarsi, chi avrebbe mai voluto una figlia con un grande ed evidente problema al cuore. Chi avrebbe mai vuole una figlia con un'eterocromia parziale agli occhi. Chi avrebbe mai voluto una figlia dislessica e pure discalcula. E la riposta che si dava a tutte queste domande era solo una: nessuno. Nessuno vuole la vincitrice all'otto delle malattie meno conosciute o più facili da bullizzare.
Perché sì, quando si era ritrovata alla lavagna a scrivere 'marziano' con tutte le R, Z e N doppie o quando durante la lezione di matematica, davanti a tutti i suoi compagni, non era riuscita nemmeno a ricordare la tabellina del due, tutti l'avevano presa in giro. Perché sì, quando il primo giorno di scuola si era presentata con un occhio ceruleo e l'altro, mezza parte marrone e mezza parte azzurra/ grigia era stata denominata la strega, la posseduta, la malata. Perché sí, quando i suoi compagni di classe avevano scoperto che l'indirizzo di casa sua corrispondeva a quello di una casa-famiglia, era diventata per tutti la sfigata senza genitori. Perché sì, quando nelle ore di ginnastica, rimaneva seduta affianco al prof/ maestra a ripassare per un'interrogazione dell'ora successiva, o a colorare, automaticamente era la sfigata che al minimo sforzo fisico poteva ritrovarsi morta stecchita per colpa del suo cuore mezzo malandato.
Ecco perché, Raissa, ha odiato così tanto la scuola. Le dicevano che quelli erano gli anni migliori della sua vita. Che proprio tra quei banchi avrebbe incontrato la sua primissima amica che presto sarebbe diventata la sua migliore amica. Avrebbe incontrato la sua prima namica con cui avere tutti quei battibecchi adolescenziali. E perché no, avrebbe potuto incontrare anche il suo primo amore... Ma per lei non era stato esattamente così. Solo bulli e nemici, aveva incontrato, sempre pronti a nuovi nomignoli, a nuove battutine e a nuovi scherzi. L'unica cosa che amava era la ricreazione. Rimanere chiusa in aula, in compagnia di Tania e Sharon, che purtroppo erano capitate nell'altra sezione, sedute sul suo banco, rigorosamente vicino alla finestra, a fantasticare su come sarebbe stata la loro vita se avessero trovato una famiglia pronta ad amarle, a proteggerle e a sostenerle.
L'unica ad aver avuto questo grande privilegio, però, è stata solo Sharon...
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Il Destino Ha La Sua Puntualità [] Paulo Dybala []
FanfictionRaissa si è sempre sentita etichettata come una figlia di serie C. Nulla a vedere con la serie A, dove invece era stato piazzato suo fratello gemello. Raissa si è sempre sentita etichettata come quella figlia che qulasiasi cosa fa, non è mai quella...