Capitolo 61

104 17 32
                                    

Era passato qualche giorno da quella terribile notte. Mina, ormai, si sentiva sempre meglio, e nei pochi momenti di sconforto, che arrivavano senza avvertire pronti a riportarla nel baratro, riusciva ad aggrapparsi a Colin, a Carlos, a Micol o ai suoi amici, tutti pronti a sostenerla e ad aiutarla. Non l'avevano mai lasciata sola, nemmeno un attimo. La notte c'era sempre qualcuno, a sonnecchiare sulla poltroncina scomoda accanto al suo letto. Colin aveva passato le notti in ospedale a leggere a Mina libri che la ragazza non aveva mai voluto o avuto il tempo di leggere. Le aveva letto I Malavoglia, Madame Bovary e, finalmente, l'aveva convinta ad aprire anche Il Signore degli Anelli. La ragazza era entusiasta di quei momenti di condivisione, e poco importava che il fantasy non fosse affatto il suo genere preferito.

In quei giorni, Mina aveva passato tanto tempo con Micol, aveva perdonato Nicole, aveva conosciuto meglio Hannah. Era stata tanto anche con Steve e Leo, scusandosi col secondo e tranquillizzando il primo, pervaso dai sensi di colpa.

Quei giorni in ospedale erano volati, come un soffio di vento estivo. La ragazza era riuscita a dormire beata, senza incubi o bruschi risvegli. Tutti l'avevano incoraggiata, e nessuno era tornato sull'argomento droga, o sull'anoressia. Non era compito loro, per quello c'erano i medici.

Mina aveva legato tanto anche con la dottoressa Brown, che iniziava a considerare quasi un'amica. Dopo il primo impacciato incontro, aveva cominciato a fidarsi, raccontando alla donna ogni particolare della sua vita, scendendo sempre più nel dettaglio.

«Oggi verrai dimessa» sussurrò la dottoressa. Mina le sorrise appena, un po' impaurita. L'ospedale, ormai, era diventato quasi un rifugio. E se fuori da lì sarebbe di nuovo cambiato tutto? E se tornare alla vita normale avesse riportato a galla problemi non ancora risolti. La donna si avvicinò alla ragazza, scorgendo in quello sguardo perso un terrore celato. «Non devi avere paura» la spronò.

«Ne è sicura? Prima la mia vita era uno schifo» ammise Mina, senza riuscire a tenere alto lo sguardo.

«Hai intorno persone meravigliose. Ti aiuteranno» le disse convinta. Anche Mina ne era certa, non metteva in dubbio nessuno di loro. Metteva in dubbio se stessa.

«Potrei non farcela io» bofonchiò, arricciando un po' il naso. La dottoressa le sorrise comprensiva, prendendole una mano e accarezzandola.

«Ti aiuteremo tutti» rispose convinta. Mina annuì. Voleva crederci. Era stata la paura di non farcela a buttarla giù. In quel momento, promise a se stessa di non nascondersi dietro stupide paure, di parlare, di coinvolgere gli altri. Sapeva che da sola non ce l'avrebbe fatta, e promise a se stessa e alla dottoressa che non ci avrebbe provato. Che si sarebbe fatta aiutare.

Tornò in camera con una nuova consapevolezza addosso. Niente era lontano, aveva dentro ancora le sensazioni provate recentemente. Se chiudeva gli occhi, rivedeva Oliver, le pasticche. Sentiva ancora la testa leggera e la fame assente. Eppure era tutto stranamente estraneo. Come se quella parte di vita l'avesse vissuta una sua gemella, qualcuno identico a lei, ma che lei non aveva nemmeno mai conosciuto.

«Sei pronta a tornare a casa, piccola?» La voce di Carlos la accolse nella stanza. Mina annuì convinta, sorridendo al padre che la guardò orgoglioso.

«Voglio vedere John e spupazzarmelo un po'» rispose. Aveva chiesto al padre di non portare il fratello in ospedale, non le sembrava il caso la vedesse così.

«Mi chiede sempre di te» la rincuorò lui, mentre sistemava in un borsone le poche cose accumulate di Mina.

La ragazza si avvicinò al vetro della finestra, guardandosi un po' intorno. La giornata non era delle migliori. C'era vento, e nubi grigiastre coprivano il cielo. Si sarebbe scatenato un temporale, Mina ne era certa. Fermi sulla panchina di fronte alla sua stanza, riconobbe Andrew e Wilma. Gli altri le avevano detto che c'erano anche loro, quella notte. Che erano terrorizzati, e che Andrew aveva anche aiutato Colin. Non si erano più fatti vedere, comunque. Nicole le aveva detto che la sorella non era ancora pronta. Che fossero pronti, ora?

«Puoi farli entrare?» chiese al padre, indicando i due. Carlos buttò un occhio, per capire di chi parlasse. Quando li vide, il suo volto si rabbuiò all'istante. «Tranquillo, papà» intervenne subito Mina. Senza rispondere, l'uomo sospirò sonoramente e lasciò la stanza. Mina lo vide uscire poco dopo e parlare con i due, che scattarono in piedi non appena lo videro. Qualche altro minuto, e Andrew e Wilma erano davanti a lei, sulla soglia della porta. Entrambi con la testa bassa.

Mina non aveva mai visto Wilma in quello stato: i capelli legati in una coda malfatta, senza un filo di trucco sul volto e con un anonimo paio di jeans e un cappottino nero. Anche Andrew aveva il volto sbattuto, con occhiaie importanti che quasi lo coprivano del tutto.

«Volevamo scusarci» borbottò Wilma senza riuscire ad alzare lo sguardo. Mina sorrise dolcemente a entrambi, invitandoli a sedersi. Chiese loro come stessero, lasciando tutti e due di stucco: non erano loro a stare male.

«La psicologa dice che per guarire devo chiedere agli altri come stanno. Deve importarmi degli altri, così che mi importi anche di me stessa» spiegò Mina. «E comunque mi interessa davvero sapere come state» aggiunse.

«Siamo...» balbettò Andrew, guardando per un attimo Wilma che annuì. Lasciò tutto nelle mani del ragazzo. «Siamo dispiaciuti, ci sentiamo in colpa».

«Vi ho già perdonati. Non è stata colpa vostra». Mina aveva ripetuto così tante volte quella frase negli ultimi giorni, che quasi non le sembrava reale. Per alcuni la pensava davvero. Per altri, non proprio. Era cosciente di quanto la colpa non fosse soltanto del mondo intorno, ma non riusciva, pur provandoci, a non colpevolizzare determinate persone. Wilma e Andrew erano tra queste. Tuttavia, non aveva più voglia di discutere. Non voleva negatività intorno, quindi provare a perdonare era la scelta migliore.

«Possiamo recuperare? Eravamo amici, miglioreremo» azzardò Wilma.

«No» rispose secca Mina. Non era arrabbiata, non appariva delusa o impaurita. Ma era drasticamente sicura. «Vi sto perdonando, davvero. Sto superando gli ultimi anni, sto facendo i conti con i rapporti che avevo costruito nel tempo. Sto analizzando ciò che va bene per me, e... purtroppo voi non andate bene. Non vi odio, ma non voglio avervi nella mia vita». Wilma avrebbe provato a ribattere, se Andrew non l'avesse fermata. Nonostante tutto, il ragazzo conosceva bene Mina. Così bene da sapere che non si sarebbe mossa da quella convinzione. Non in quel momento, comunque.

Lui avrebbe continuato a provarci, però. Ci avrebbe messo una vita, forse, ma sarebbe riuscito a farsi perdonare davvero.

Senza proferire altra parola, i due salutarono Mina con un sorriso tirato e lasciarono la stanza. Lei li seguì con lo sguardo, fino a vederli sparire. Risbucarono all'ingresso dell'ospedale, e Mina intercettò sul viso di Wilma qualche lacrima. Magari ce l'avrebbe fatta, un giorno, a passare sopra a tutto. Magari sarebbero tornate amiche. O magari non si sarebbero viste mai più.

Il resto della mattina passò in fretta. Micol continuava a tempestare Mina di messaggi, lamentandosi della noia delle lezioni. Colin, al contrario, era lì con lei. Si era preso qualche giorno di pausa dalla scuola, promettendo a Mina che avrebbero ripreso insieme, così da arrivare al diploma.

«Stanno venendo tutti» la informò il ragazzo, buttando la carta vuota del panino nel cestino all'ingresso della stanza. Avevano mangiato insieme, come ogni giorno: Mina il suo sciapo pranzo ospedaliero, Colin il solito sandwich carciofini, tonno e doppia maionese.

«Non serve il comitato d'accoglienza» si lamentò. Non voleva disturbare nessuno e, ancor più importante, non voleva sembrare una povera vittima.

«Serve a loro» rispose Colin. Quelle parole furono così spontanee e inaspettate, che riempirono il cuore di Mina di una gioia inverosimile, liberando la ragazza da qualsiasi preoccupazione e paranoia. Fissò Colin, impegnato a chiudere il borsone che Carlos aveva lasciato aperto qualche ora prima. Erano pronti a tornare alla vita vera, a vivere un futuro ignoto, terrificante e ricco di amore, Mina ne era certa.

Annuì, avvicinandosi al ragazzo e lasciandogli un dolce bacio a fior di labbra. Non si erano spinti oltre, in quei giorni. Solo baci sfiorati, carezze e tanti abbracci.

Vedendo Carlos all'orizzonte, Colin prese il borsone, allungò la mano e lasciò che Mina gliela stringesse. Stavano ripartendo. Insieme. 

MoonlightDove le storie prendono vita. Scoprilo ora