Capitolo 16. Mettiti tu nel bagagliaio

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ATTENZIONE: ALTO CONTENUTO DI CRINGE E DISAGIO. Sorry not sorry.

Il ristorante nel quale quella sera mangiai con i miei genitori era davvero magnifico. Sedevamo a un tavolino all'aperto sotto a un gazebo dal tetto di paglia, e il lieve chiacchiericcio di sottofondo mischiato al rumore delle onde del mare si era rivelato un sottofondo piacevole per la cena. Una brezza leggera mi accarezzava le spalle di tanto in tanto, facendo finire costantemente capelli viola attaccati alle mie labbra ricoperte da lucidalabbra.

Che odio.

Mio padre parlava di quanto non vedesse l'ora di assaggiare la specialità dello chef, mentre mia madre sorseggiava silenziosamente del vino rosso, la schiena rigida e i capelli scuri perfettamente raccolti in uno chignon ordinatissimo. La tensione si poteva tagliare con un coltello. Si stavano comportando in modo quasi...strano? Già il fatto che Genevieve Adler stesse bevendo degli alcolici senza lamentarsi di nulla era preoccupante.

Qualcosa mi diceva che quell'anomalia era legata all'ospite che stavamo aspettando: di fronte a me c'era un posto vuoto e Orazio era rimasto all'albergo. Aspettavamo sicuramente qualcuno ma i miei non avevano detto niente.

Io, nel frattempo, controllavo ogni due secondi l'ora: erano le otto di sera e l'appuntamento con Arsène e Sherlock era fissato per le dodici e mezza, e io non potevo arrivare in ritardo. In qualche modo sarei dovuta sgattaiolare dalla mia stanza cercare di uscire senza fare alcun rumore.

- Irene, tuo padre ti ha fatto una domanda-

Sobbalzai sul posto, trovando gli occhi inespressivi della donna di fronte a me. Mi ero persa di nuovo nei miei pensieri.

- Non ti preoccupare, tesoro-, fece il diretto interessato, scuotendo leggermente la testa e guardandomi con tenerezza, -ti avevo solo chiesto come vanno le cose in questi giorni. Sei sempre fuori.-

Morsi nervosamente l'interno della guancia. Stamattina ho spaccato una sedia in testa a un tipo e mi hanno inseguita con l'intenzione di piantarmi un coltello nel cranio, tu invece?

- Nulla di che sinceramente-, dissi abbassando lo sguardo sul menù con nonchalance, -sto in spiaggia e passeggio per l'isola. Tutto molto bello.-

Mi sentivo un po' in colpa quando li lasciavo per girare con i miei due nuovi amici e indagare. Dopotutto eravamo alle Bahamas in vacanza come una famiglia, e io praticamente evitavo di passare del tempo con loro.

Mia madre appoggiò il calice di vetro sul tavolo inclinando la testa di lato, studiandomi. Per la prima volta nella serata sembrava interessata alla mia esistenza.

- Esci ancora con quei...soggetti?-, domandò dopo un po'. Sbattei le palpebre.

Si stava riferendo a Holmes e Lupin come se fossero due scarti della società. Che strano. Voleva che frequentassi solo le educatissime e simpaticissime figlie delle sue carissime amiche, tutto in nome del mio buon nome da signorina e della mia appartenenza all' "alta società". Manco fossimo nel 1800.

Aprii la bocca per ribattere, ma venni bloccata da un'altra voce che si aggiungeva alla nostra discussione.

- Buonasera a tutti, scusate il mio immenso ritardo!-, esclamò la nuova arrivata lasciandosi cadere con eleganza sulla sedia di fronte alla mia. La guardai. Era terribilmente familiare.

La donna mi sorrise passandosi una mano tra la folta chioma rossa. Poteva essere tranquillamente una dea. Quanti anni aveva? Doveva aver superato da un po' la trentina, ma ne dimostrava molti di meno.

Mio padre le strinse la mano e mi fece un cenno verso la sua direzione.

- Irene, questa è la signora von Klemnitz, una nostra cara conoscente che per pura coincidenza si è ritrovata a Paradise Island come noi. Mi è sembrata un'ottima occasione per incontrarci-, disse. Qualcosa nella sua voce, una nota impercettibilmente amara che prima non c'era, tradiva la spensieratezza del suo sorriso.

Sherlock, Lupin e Io - Vacanza con delittoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora