Capitolo 37.2: La bandana

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Sento il bisogno di correre

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Sento il bisogno di correre.
Devo sfogare i miei dubbi, i miei pensieri. Devo liberare la mia testa dalle mille domande e dai mille pensieri che si arrovellano.
Cammino per casa guardandomi intorno, come se avessi la speranza di vederla, ma quando mi rendo conto che di Sanem non c'è traccia, sbuffo e quasi scocciato da questa mancanza, entro subito in camera.
Per prima cosa tolgo la bandana dalla tasca per metterla al sicuro in un cassetto. Quella bandana è diventata la cosa più preziosa per me e non vorrei mai che qualcuno la trovasse o peggio, la rovinasse.
La ripiego con cura, la adagio nel cassetto e poi, dopo averlo chiuso, mi tolgo la maglia.

Prima di togliermi il resto per poter indossare i miei abiti sportivi, mi rendo conto di avere in tasca la collana. Quella collana. La stessa collana che Sanem cerca disperatamente e che io le ho sottratto.
La osservo per un po' e poi, avvicinandomi al letto, prendo il cuscino per poter nascondere la collana nella federa.
La chiudo con cura, sistemo il cuscino sul letto nello stesso esatto modo in cui l'ho trovato e continuo a sorridere pensando a lei. Non lo troverai mai Sanem Aydin..
Sfilo il resto dei vestiti, per poter indossare quelli più comodi adatti per la corsa. Mi guardo allo specchio per qualche secondo e, dopo aver dato un'ultima occhiata alla federa, esco di casa pronto a praticare un po' di sano sport.
Mi ritrovo ben presto, a correre per i sentieri che ormai conosco molto bene e, ad ogni falcata, un ricordo affiora alla mente, lasciandomi ripercorrere ogni momento da quando, i miei occhi spenti e pieni di dolore, sono tornati a brillare di vita, dal momento in cui si sono posati, dopo un anno di sofferenza, su di lei, Sanem.
Ripenso a quell'incontro avvenuto al molo:

"Raggiunsi il piccolo molo a testa bassa e quando alzai la testa, sentì il mio corpo irrigidirsi non'appena i miei occhi, si posarono su quella figura che non ritenni altro che un bellissimo sogno: Sanem.
Mi avvicinai di qualche passo, avvertendo il cuore pulsarmi in gola, mentre i battiti accelerarono frenetici, come se volessero in quel momento, recuperare tutti quelli persi. Camminai lentamente verso di lei e, ad ogni passo, sentì la vita tornare a scorrere nelle mie vene e lei, bella come non mai, si girò verso di me, mostrandomi i suoi occhi spenti e privi di luce.
Dopo un attimo, scattò in piedi e iniziò a percorrere quella passerella velocemente per allontanarsi da me.
La fermai, lasciando che la voce del cuore, urlasse il suo nome per ben tre volte e lei, si immobilizzò. Mi avvicinai a passo lento e le toccai il polso delicatamente. Constatai a me stesso, che non era affatto un sogno, ma bensì realtà.
Ma lei, spaventata, interruppe il tocco, allontanandosi di qualche passo. «Perché sei venuto? Perché sei qui? Hai detto che te ne saresti andato.. Vai via! Vai via, di nuovo!» disse, trascinandomi in un nuovo nel mio abisso."

Lei, che urla il mio nome sapendomi tra le fiamme:

"Entrai in quel capanno in fiamme, pronto a morire pur di recuperare l'ultima cosa che mi restava di lei: la sua bandana.
E quando finalmente la trovai, ringraziai Allah per non avermi portato via, anche quel pezzo di stoffa, pregno del suo profumo. Decisi di provare a portar fuori anche l'hard disk, che tanto mi stava aiutando a portare a galla quella verità. Quello stesso Hard Disk, che aveva provocato l'incendio messo in atto dalla persona intenzionata a distruggerlo: Ygit.
Improvvisamente, sentii la sua voce invocare il mio nome e urlare con tutta la sua forza. «CAN! CAN! LASCIATEMI ANDARE! CAN!» urlò disperata e a quel suono carico di preoccupazione e rotto dalle lacrime, lasciai andare alle fiamme ogni cosa e uscìì dal capanno. Mi diressi verso quella voce dal sapore del paradiso, lasciandomi l'inferno alle spalle."

GOCCE D'AMBRA (SOSPESA)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora