Oggi sono 3 mesi che sono nell'inferno.
E' da tre mesi che mangio solo pezzi di pane raffermo e una zuppa che solo a pensarci mi viene da vomitare. La divisa che all'inizio mi stava giusta ora ci potrei stare due volte dentro.
Piove, piove da giorni ormai. La terra ai nostri piedi non è altro che fango. Delle tavole di legno dovrebbero servire da passerella ma è talmente marcio che è praticamente inutile.
E' da tre mesi che non chiudo occhio. Giorno e notte, ora dopo ora ci sono spari, granate, squadre d'assalto...
E' da tre mesi che un po' di acqua calda non raggiunge il mio corpo.
Il capo da il cambio di linea.
Torno nella mia nicchia insieme ad altri tre soldati. Vengono da chissà dove, non ci siamo mai detti una parola. Quando c'è il cambio di nicchia marciamo verso quella che dovrebbe essere la nostra stanza, ovvero un buco scavato nella terra, dove dovremmo riposarci. Le esplosioni sono sopra la nostra testa come dovremmo dormire?
C'è un piccolo coccio di vetro per terra, chissà cos'è...
Lo pulisco un attimo dal fango e vedo la mia immagine. Quasi non mi riconoscevo.
Il viso è scarno, gli occhi sono così gonfi che potrebbero uscire dalle orbite da un momento all'altro. Ormai l'azzurro dell'iride è oscurato dal rossore di quello che una volta era bianco.
Le labbra sono screpolate, molto screpolate, come se non vedessero acqua da mesi. E infatti a parte la zuppa non bevo acqua da tre mesi.
Non c'è un millimetro di pelle in cui il fango non si sia incrostato.
L'elmo è largo e anche un po' ammaccato. Qualche giorno fa mi ha salvato da un proiettile vagante. Quanti giorni fa è stato? Chi se lo ricorda... Se non ti segni i giorni potresti passare un anno in trincea senza neanche accorgertene. Molti sono impazziti qui. Ogni notte ripenso a quel ragazzo di neanche vent'anni che per farsi portare a casa si è sparato alla gamba. Ripenso a tutti i soldati che non sono morti eroicamente come tutti pensano mentre correva verso il campo nemico e si sono presi una pallottola, o difendendo gli altri mettendosi sopra ad una granata, ma per le condizioni penose in cui stiamo, per la cancrena ai piedi che percorre tutta la gambe e poi tutto il resto del corpo, o quelli che non hanno sopportato la fatica, o quelli che per non stare un giorno in più in quella trincea sono usciti da soli e sono stati crivellati.
Di nuovo cambio turno. Sono già passate 5 ore.
Ancora appoggiati alla terra fredda e umida ad aspettare l'ordine del capitano per sparare a qualcuno che a noi non ha fatto niente. Perché si, questa è la guerra: persone che non si conoscono nemmeno si devono uccidere per un qualcosa accaduto ai piani alti. E proprio i piani alti verranno ricordati e acclamati per l'eroismo che hanno provato in battaglia. Ma nessuno si ricorderà del piccolo soldato solitario che lotta e che muore per una patria che ormai non esiste più.
Sono con la schiena sulla terra umida. Ha smesso di piovere, ma le divise sono ancora bagnate e la terra ancora fangosa. Altri soldati sono nella mia stessa situazione, a destra e a sinistra in una fila di cui non si vede neanche la fine.
Stanno tremando tutti. Hanno paura dell'ordine di andare allo scoperto.
Tanto a cosa interessa a loro, ai piani alti, meno fanno, meno rischiano e meglio è.
Tanto se noi moriamo, ci saranno altre centinaia di soldati che prenderanno il nostro posto.
Tanto se loro sbagliano il momento in cui mandarci, è colpa nostra perché noi non abbiamo svolto l'azione giusta.
Tanto i piani alti avranno sempre ragione, anche quando avranno torto.
Stanno pregando tutti. Hanno paura di non tornare nelle loro case. Hanno paura di non abbracciare la propria donna, i propri figli.
Il soldato vicino a me ha la foto di una ragazza, forse sua moglie, forse sua figlia. E' difficile determinare l'età di un uomo quando è cosparso di fango. Fissa la foto. Forse si immagina il rientro a casa. Forse si immagina le sue lacrime quando le diranno che non tornerà più a casa. Ogni giorno quella singola foto gli ricorda che ha un obiettivo, ha qualcuno da cui ritornare, ha qualcosa per cui non morire. Quella singola foto gli ricorda chi è quel soldato dentro quella divisa enorme, sotto quegli occhi rossi, sotto tutto quel fango.
Non posso dire lo stesso per me. Io mi sono già dimenticato chi sono. Anzi, io sono il soldato che loro vogliono, il soldato modello.
Ho dedicato tutta la vita allo studio, alla ricerca. Ho donato la mia vita alla scienza. Non ho tempo per cercare relazioni, non ho tempo da dedicare alle persone. E paradossalmente sono rintanato qui, senza un minimo di civiltà, con l'inutilità dei miei anni di studio e con una moltitudine di persone.
Loro vorrebbero il soldato che non ha paura di dare la vita per qualcosa di più grande che loro identificano come "patria". Vorrebbero il soldato che esegue gli ordini all'istante senza fiatare. Vorrebbero il soldato che si dedica completamente senza vincoli.
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L'inferno
Short StoryIl racconto di un uomo intrappolato nell'incubo di una dura guerra