f o u r

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Quella mattina, in ufficio, avrei dovuto stabilire i dettagli per l'intervista con Harry, perché il signor Morris era già volato verso chissà quali posti meravigliosi, spacciandosi come lavoratore, ma, in realtà, tutti sapevano che faceva la bella vita 365 giorni all'anno.

Harry era ancora arrabbiato con me, e non ero riuscita a capirne il motivo. Forse per l'accaduto al night club la sera precedente, ma non ne capivo il senso. Non poteva decidere per me ogni volta, ero grande e matura abbastanza da decidere per me stessa. Ma il suo animo protettivo verso i miei confronti trovava sempre il modo di presentarsi, in qualsiasi situazione opportuna e possibile.

In un certo senso lo adoravo, perché dimostrava quanto bene mi volesse, ma a volte metteva il broncio per giorni senza alcun motivo.

Percorsi il corridoio, subito dopo essere uscita dall'ascensore che mi aveva lasciata al ventesimo piano, quello dove era stanziato il mio ufficio.

Mi diressi subito nell'ufficio di Harry, di modo da organizzarci meglio sul da farsi. Non ero ancora molto convinta di questa intervista, ma, in fondo, era una buona cosa. Morris aveva chiaramente specificato che molti giornalisti avevano chiesto un'intervista per sapere di più sull'associazione, su di noi, e lui, per zittirli, aveva accettato solo ad una, e in più senza il mio consenso. Odiavo il fatto che Morris stesse via tutto l'anno, e che, quando trovava del tempo per tornare all'azienda, decideva per me ogni singola cosa da fare. Era stressante.

Scacciai i miei pensieri dalla mente, e bussai tre volte alla porta dell'ufficio di Harry, sperando che si degnasse di aprirmi. Per fortuna, non dovetti aspettar molto una risposta ai miei quesiti. Il suo volto luminoso mi si prospettò davanti, ma la sua espressione era ancora assonnata e seriosa.

«Uhm...ciao» dissi incerta, aspettandomi una risposta.

«Hey» ricambiò «vieni, entra» mi invitò, e lo seguì nel suo ufficio, disordinato come sempre.

Harry e l'ordine erano due poli opposti. Ricordavo bene ai tempi del liceo, quando eravamo in camera insieme, e trovava sempre tempo per buttare qualche cartaccia a terra o lasciare in giro dei panni sporchi, malgrado cercassi di mantenere l'ordine sempre.

«Ti deciderai mai a mettere un po' d'ordine qui dentro?» scherzai, cercando di alleggerire l'aria tesa fra di noi, ma lui non ricambiò ridendo, anzi, mi guardo in modo strano, come se un alieno fosse appena sbarcato sulla terra.

Mi infuriai, ma cercai di non darlo a vedere, malgrado stessi esplodendo dentro.

«Allora, come vogliamo organizzarci per l'intervista?» passai ad un'altra domanda, cambiando argomento in modo repentino.

«Non lo so» rispose semplicemente, versandosi una tazza di caffè e non offrendomene neanche un po'. Quel ragazzo sapeva essere irritante.

«Okay, questo è troppo! Mi vuoi dire che ti è preso?!» sbottai, esausta di far finta di nulla. Con lui sapevo essere la persona più tollerante del mondo, ma anche la mia pazienza aveva un limite.

«Lo sai anche tu...» disse, sedendosi sulla sedia girevole nera e dandomi le spalle per controllare la posta elettronica sul computer.

«Se lo sapessi non te lo avrei chiesto. Smettila di parlare ad enigmi!» lo rimproverai nuovamente, aspettandomi risposte più chiare.

«Be' sono ancora arrabbiato per ieri sera, lo sai che devi stare attenta a certa gente, quante volte te lo devo ripetere?»

«E quante volte ti devo ripetere che devi placare il tuo comportamento geloso?» ribattei, orgogliosa della mia risposta.

«Non sono geloso» borbottò silenziosamente.

«Oh certo, come no. Senti, chiudiamo qui la faccenda, siamo stati immaturi tutti e due» conclusi.

«D'accordo» sospirò, alzandosi dalla sedia e venendomi incontro.

«Mi dispiace» sussurrò, lasciandomi un bacio leggero sulla fronte.

«Anche a me» a mia volta, gli baciai il naso, e lui ridacchiò «ma ora è meglio organizzarci» gli ricordai.

Harry si era offerto di svolgere alcuni lavori per me, durante l'intervista di quel pomeriggio. Non avevo idea di quanto sarebbe durata, ma presumevo non meno di due giornate.

«Dunque, tu cosa avresti dovuto fare questo pomeriggio?» mi chiese, e, finalmente, mi offrì una tazza di caffè caldo con poco zucchero, come piaceva a me.

«Dovrei inviare una email a Morris per aggiornarlo su alcune cose sull'azienda: il lavoro dei dipendenti, l'andamento economico e cose del genere. Le ho scritte tutte qui» gli porsi il foglio scritto a mano, che avrebbe solo dovuto copiare semplicemente. Sorseggiai il mio caffè fumante, facendo attenzione a non scottarmi la lingua.

«D'accordo, c'è altro?»

«Sì, ma non è nulla di urgente, lo farò domani mattina in ufficio con tranquillità. La email è l'unica cosa che va spedita il prima possibile. E poi, non voglio oscurare il tuo lavoro con il mio» ammisi.

«Per me non c'è problema» sorrise. Adoravo il suo sorriso.

«Ehm...quindi ci vediamo a pranzo come al solito?» chiesi, alzandomi dalla sedia dove mi ero precedente seduta, per dirigermi nel mio ufficio.

«Come sempre» confermò, poi uscii salutandolo, pronta per iniziare una nuova ed impegnativa giornata di lavoro.

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