Cara professoressa. So che questo tema avrebbe dovuto riguardare il testo argomentativo o qualcosa di simile. Ma io devo parlarle, semplicemente perché devo parlare con qualcuno, non importa neanche tanto con chi. Ma lei ha studiato psicologia, ed è sempre stata comprensiva, quindi mi capirà. E magari non parlerà con nessuno di questo tema. Potrà sembrarle assurdo che io le scriva così sapendo che prenderò un bel due. Ma non è più importante, le spiego perché. La mia vita non ha senso. È solo fonte di dolori e affanni. Sono sola, e sono pazza. Vede tutti loro che mi circondano? Mi odiano e li odio. Un bel rapporto, eh? Mi dicono che sono depressa. No, sono soltanto pazza, gliel’ho detto. Sto sempre a maniche lunghe e vesto di nero. Lei capirà. Lo spero. I miei genitori mi dicono che sono una delusione, che sono stupida, e non vedono l’ora che me ne vada da questa casa. Fanno bene. Sono pazza. Dopodomani sarà il mio compleanno, e dopodomani consegnerà questi temi corretti. Sa? Io dopodomani sarò morta. Non ho regali da ricevere o torte da assaggiare, morirò un attimo prima dei miei 17 anni. Non cerchi di fermarmi. Lei deve capirmi. È stata una brava professoressa, anche una brava amica a dire il vero. Sa una cosa? Non è vero che avrei potuto sfogarmi con chiunque. Lei era l’unica a cui avrei parlato così. Arrivederci, o forse dovrei dire addio.’ Piegò il foglio, e lo consegnò. La professoressa lo guardò con i suoi occhietti scuri. Filippo ammirava quegli occhi. Riuscivano a leggerti dentro senza far neanche lontanamente intravedere l’ombra di un qualche pensiero. - L’hai riletto? Silenzio dalla parte di Filippo.
- Fili, stai bene?
- Sì. Sì, certo.
Ma come si fa a mentire a una che ha studiato per capire quando menti?
Infatti prese il tema e iniziò a leggerlo.
Filippo pensò che non doveva andare così, e si lasciò prendere dal panico. Corse in bagno senza neanche chiedere, ma la professoressa sapeva che a volte lui scappava così. Lo lasciò fare.
Quando tornò in classe - perché prima o poi in classe ci doveva pur tornare - trovò la professoressa seduta, a fissare il vuoto. Si sedette anche lui.
- Filippo, dovrei dirti una cosa. Potremmo uscire un secondo?
La sua voce ruppe così il silenzio. Con dolcezza.
- Certamente.
Iniziò a pensare a cosa avrebbe dovuto risponderle quando gli avrebbe chiesto di non suicidarsi, di aspettare, e tutto il resto.
Invece lei gli disse soltanto - Aspetta che riconsegni i compiti corretti. A te il voto non importa, lo so, ma aspetta soltanto questo. E poi festeggia il tuo compleanno, prima. Meglio morire da diciassettenni, non credi? -
E Filippo era rimasto molto stupito. Tanto che le aveva risposto - Okay - senza neanche pensarci.
Dopodomani arrivò, e Filippo era vivo e seduto al banco di scuola. Entrò la professoressa, che gli sorrise, e disse - Grazie -. Consegnò i compiti senza perdere troppo tempo.
Ecco una cosa che faceva sempre lei: scriveva il voto e consegnava un bigliettino con un commento. Poteva riguardare il compito (‘hai scritto veramente bene, hai uno stile tutto tuo’) o l’alunno stesso (‘non so bene cosa ti stia succedendo, ma sii forte perché andrà tutto bene’). Oggi il bigliettino di Filippo era più lungo del solito (nonostante i suoi bigliettini fossero sempre un po’ più lunghi di quelli degli altri), e non c’era nessun voto. Il resto della lezione passò in fretta, e Filippo tornò a casa. Senza neanche pensarci troppo, aveva aperto l’acqua della vasca e già sapeva come sarebbe morto: dissanguato. Un taglio soltanto, preciso, chirurgico. Sul polso. Tra tutte quelle cicatrici disordinate, qualcosa che aveva un senso, un significato. Tirò fuori una lametta, e il bigliettino della professoressa.
'Filippo, ma ci pensi che se muori adesso ti perdi un sacco di cose? Ci sono dei posti in cui voglio portarti, e altri che devi vedere da solo. Per non parlare delle cose da fare, ancora. Ora la felicità ti sembra lontana, ma non lo è poi tanto. Soltanto un passo davanti la depressione. Non sei pazzo, soltanto depresso. Ma io posso aiutarti. Tu ti fidi di me, non è vero? Mi darai una possibilità?
La prof.
Ps: perché tu meriti di stare bene, se i tuoi pensano di no non ci hanno capito un cazzo, Fili. E i tuoi compagni di classe… Sì, vi odiate, ma solo perché loro sono dei coglioni ignoranti. Ops.
Pps: buon compleanno. C’è un braccialetto, se apri bene la busta. L’ha regalato a me la mia vecchia professoressa, perché non ci crederai, ma le ho scritto una cosa molto simile a quella che tu hai scritto a me. Credimi quando ti dico che ti capisco. Ti capisco, e ti voglio bene.’
Filippo aprì la bustina, e ne cadde un bracciale bianco, sottile. Sembrava quasi un elastico. Lo indossò, e si accorse di una scritta in rilievo: ‘Vali tanto’. Così, Filippo diede un’altra occhiata al braccio, alla lametta, alla letterina. Le sue cicatrici sarebbero diventate quasi invisibili, un giorno, come la scritta sul bracciale. E un giorno avrebbe potuto guardarle, e guardare quel bracciale. E avrebbe potuto insegnare a qualcuno che dal dolore si esce. Che si è sempre abbastanza forti per vincere. Buttò la lametta. Chiuse il rubinetto. Uscì dal bagno. Lui, questa volta, con il piccolo aiuto di un’amica, o di una professoressa, o come definirla, aveva vinto.