Sola nel parcheggio

10 2 0
                                    

Quando ero piccola, l'amicizia per me significava solo:
"Giocare".
"Giocare".
"Giocare".
Poi però sono iniziati i problemi, e con loro, sono iniziate anche le solite "confessioni" tra amici.
Avete presente?
È, più o meno, quando uno si confida con l'altro e viceversa e ci si toglie un peso a vicenda.
Da quando sono iniziati questi rituali ho sempre voluto fare credere agli altri che i miei problemi erano maggiori dei loro.
Più grandi.
Più difficoltosi.
Ma il tutto si è fermato quando ho conosciuto questa ragazza.
Lei era autolesionista.
Lei si era aperta con me.
Lei aveva bisogno di qualcuno che le credesse, che la ascoltasse.
E così io ho fatto.
Ho cercato di farle capire che tutto quello che faceva era sbagliato, che doveva essere forte perché la vita non ci regala la felicità.
Lei era la solita ragazza emarginata, quella che nelle stupide classifiche era sempre l'ultima, ( le classifiche sono i giochetti che si fanno da adolescenti, che però possono distruggere l'autostima di una persona, quelli in cui le ragazze sono valutate per la loro bellezza), nessuno voleva essere suo amico e tutti la giudicavano per il suo aspetto.
A quel tempo io non mi fidavo più di nessuno e non mi sono mai aperta con lei, eppure, grazie a quella ragazza sono riuscita a capire che non bisogna mai sminuire i problemi degli altri, perché ad ognuno le cose pesano diversamente.
Ciò che per noi può essere banale e facilmente risolvibile oppure stupido, per qualcun'altro può essere una cosa grave che può farl* stare male.
Un giorno ricevetti un suo strano messaggio.
Prima non ci feci molto caso.
Ma poi alcune mie amiche mi dissero che avevano ricevuto lo stesso messaggio da lei.
Alché mi preoccupai.
Gli altri, invece, mi rassicuravano dicendo che era solo in cerca di attenzioni o che era uno scherzo.
Quando però ricevemmo tutte un video la situazione divenne seria.
Nessuna voleva fare niente.
Così, visto che avevo paura potesse farsi del male, uscii di casa.
Le altre si comportarono da preoccupate, ma non fecero assolutamente nulla.
Erano circa le 21.
Arrivai fino a casa sua.
Scoprii che aveva ingoiato molte pasticche.
Entrai in panico.
Avvisai mia madre (un medico), che guidò fino al suo palazzo e dopo una visita improvvisata mi tranquillizzò.
Non aveva preso nulla di grave, ma avrebbe avuto comunque problemi di salute per qualche giorno.
Rimasi traumatizzata.
Non mangiai quella sera.
Da quel giorno imparai a non sottovalutare mai.
Mai.
I problemi degli altri.
E ora sono sola in questo parcheggio.
A riflettere.
A riflettere sul fatto che in realtà quella ragazza è stupenda, sia fuori che dentro e che ne ha passate tante e ora è più forte di prima.
A volte ho bisogno di una pausa per riflettere, una pausa dal mondo, nei giorni in cui non ho voglia di vedere nessuno o di non parlare con nessuno.
Per fare di meglio ed impegnarmi di più.
Per piangere in silenzio anche quando vorrei abbracciare qualcuno e urlare forte...
Ma sono ancora sola in questo parcheggio.

Nulla da dire Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora