12.06.1933
"alla fine le anime gemelle si incontrano poiché hanno lo stesso nascondiglio."
osservo il sole illuminare i papaveri rosso fuoco recentemente piantati nelle piccole aiuole all'interno del giardino scolastico, situate vicino alla fontanella arrugginita che, nei lunedì come questi, è la mia unica salvezza dal caldo rovente.
oggi è l'ultimo giorno di scuola ma, nonostante ciò, mentre l'insegnante parla non si sente volare una mosca, anche se dalle facce dei miei compagni si può facilmente notare l'impazienza di sentire il rumoroso e fastidioso suono che la campana emette quotidianamente.
alcuni di loro hanno la fortuna di andare in colonia al mare o in montagna a tracorrere un mese con gli amici.per me invece è un giorno come gli altri, le mie vacanze estive sarebbero state le solite e noiose di ogni anno.
svegliarsi alle sei in punto per andare ad aiutare mio padre a lavoro invece di dirigermi a scuola, poi verso mezzogiorno tornare a casa per pranzare in piacevole compagnia dei miei genitori e delle mie due sorelle, mina e joy. il pomeriggio, quando posso, andare al lago per studiare invece di farlo a casa: è un posto disabitato e abbastanza nascosto, così da non attirare l'attenzione dei miei coetanei ficcanaso di questo paesino di campagna. vado lì anche a causa dei miei genitori, i quali non vogliono che io dedichi troppo tempo scuola, credono sia inutile e che potrei benissimo passare le ore che svolgo tra i banchi nei campi, ad aiutare mio padre.ma come faccio ad arrivare nei più grandi teatri del paese se l'ignoranza mi travolge?
a risvegliarmi dai miei pensieri è il suono che i ragazzi attorno a me aspettavano ansiosamente da ore, o forse giorni. così, dopo aver posato il libro ed essermi sistemato il grembiule nero, prendo la cartelletta ed esco silenziosamente dall'aula, cercando subito l'uscita con gli occhi.
purtroppo sono cosciente del fatto che da oggi non rimetterò più piede in questa scuola, in quanto ho appena terminato la quinta elementare e ciò significa lavoro.
cerco di non pensarci e, mentre calcio il piccolo sasso per le strette vie del mio paesino, mi incammino verso casa, affamato e impaziente di raggiungere il lago.dopo due ore da quando sono rientrato in casa, mio padre mi ha lasciato finalmente andare, raccomandandomi però di fare attenzione a non perdermi nel bosco e di stare attento a dove metto i piedi. prendo dal cestello un bastone di legno, quello di mio nonno, il quale mi è stato regalato da lui stesso prima di morire. fin da piccolo mi è sempre piaciuto tantissimo, dal tenue colore alla piccola stella alpina disegnata sopra.
afferro anche lo zainetto in tela contenente il libro, una coperta di lana rovinata per potermi stendere, della frutta e un cappellino.<<mamma, papà, io esco per andare al lago, tornerò prima che faccia buio così da non perdermi>> dico aprendo la porta in vetro del salotto e girandomi per poterli guardare in faccia.
<<domani mattina verrai con me ai campi e il pomeriggio starai in casa per badare alle tue sorelle mentre tua madre è impegnata>> risponde semplicemente leccandosi poi il dito per poter girare la pagina del giornale che sta leggendo. mio padre è un uomo severo e scorbutico, ma nel suo piccolo anche premuroso; passa molto tempo a lavoro per poterci mantenere e mia madre quando può lo raggiunge sempre. è un uomo alto e robusto, con una barba corta nera e qualche pelo biaco che contrasta, occhi neri come la pece e un viso segnato dalla stanchezza. mia madre invece è lo stereotipo della tipica donna di casa: capelli bruni raccolti, occhi scuri e con sempre un paio di orecchini a portata di mano.
"va bene" rispondo chiudendo la porta nascondendo un sospiro di consapevolezza.
ero sicuro che queste vacanze le avrei trascorse così.per arrivare al lago ci impiego dieci minuti: inizio prendendo la via a destra di casa mia che mi porta all'oratorio di fianco alla chiesetta, poi vado a sinistra e prendo la strada in salita.
cammino sempre dritto fino al cimitero e svolto ancora a sinistra, per passare sotto gli alberi di ciliege. continuo a camminare per altri cinque minuti ed ecco che si inizia a vedere l'acqua cristallina risplendere sotto i raggi del sole.poso lo zaino e mi fermo qualche secondo a contemplare il paesaggio che mi si presenta davanti agli occhi: la fresca brezza mi scompiglia i capelli e smuove le foglie degli alti alberi, i quali emanano una bellissima luce verde che, insieme a quella azzurra del lago, oggi ancora più luminoso grazie al sole che si trova quasi al centro del cielo, rende questo posto uno dei più belli che nei miei dodici anni io abbia mai visto.
tiro fuori la coperta a quadri blu e rossa e la stendo sull'erba corta, mi tolgo le scarpe e mi ci lascio cadere sopra.
prendo anche il libro che ho trovato negli scaffali della camera di mio padre, anche se dubito nella riuscita di una totale comprensione del testo. nonostante ciò, sdraiato a pancia in giù, mi perdo fra le righe del testo che avevo fra le mani, perdendo così anche la concezione del tempo.sono a pagina quarantatre quando vengo distratto da un rumore fra i cespugli poco distanti da me. lascio subito il libro, senza preoccuparmi di tenere il segno e mi alzo, cercando di prendere il bastone ai miei piedi nel modo più silenzioso possibile. era abbastanza strano che un'animale si facesse vivo proprio lì, a quell'ora del giorno e, per questo, non mi ero preparato ad un eventuale attacco. tiro su il pezzo di legno e mi preparo a scappare.
<<dannazione che male!>> eaclama una voce addolorata proveniente dal cespuglio sospetto. subito dopo sbuca fuori dalla pianta in questione un ragazzino medio alto e magro; dovrebbe avere più o meno la mia età, forse qualche anno in più.
dopo qualche secondo passato a pulrsi da terra e foglie mi nota.
si avvicina a me e mi squadra dall'alto al basso, essendo più alto e di me.<<chi sei? e perché stai tenendo un bastone come se fosse una mazza da baseball?>> mi domanda alzando un sopracciglio e trattenendo una risatina.
<<ehm, scusa io - cerco di trovare le parole giuste per non sembrare uno stupido e nel mentre riappoggio per terra il bastone - ho sentito un rumore e pensavo fosse un animale, mi hai fatto spaventare.
comunque sono xu minghao, tu?>> chiedo allungando una mano sorridendo.<<io mi chiamo wen junhui e da come puoi vedere non sono un animale>> mi risponde scherzando stringendomela.
quel pomeriggio lo trascorsi insieme a lui, parlando delle nostre vite e di come avremmo trascorso questi tre mesi. avevo scoperto che lui aveva quattordici anni, due in più di me, e che continuava ad andare a scuola.
era qui in vacanza e mi aveva promesso che il giorno dopo sarebbe tornato lì per rivedermi.in quel momento, mentre aprivo la porta di casa, non ero ancora a conoscenza del fatto che quel ragazzo, così tanto simpatico e bello, avrebbe dato una svolta alla mia vita.
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wonderland ¦¦ junhao
Fanfic12.06.1933 dove un casuale incontro sulle rive del piccolo lago al quale minghao andava ogni giorno metterà fine alla monotonia che fino a quel momento aveva occupato le sue giornate. "perché, forse, wonderland non è un dove, ma un quando" boyxboy ...