VOMITARE

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Eccomi davanti allo specchio del mio bagno, a vomitare tutto quel poco che ho mangiato a cena, uno schifoso panino al McDonald, non avevo fatto in tempo a comprare altro.

Sono giorni che va avanti cosi, non riesco a tenere nulla dentro, comincio a preoccuparmi, non è affatto una cosa normale.

Purtroppo sono troppo presa con gli impegni di lavoro, sono commessa in un negozio di intimo, devo mantenere una certa presentabilità. Ero stata assunta dopo due anni di disoccupazione nera, avevo perso la speranza di trovare qualcosa che non fosse precario o non pagato.

“Signorina Gillian”, mi diceva la padrona del negozio, “noi abbiamo una tradizione forte e rigorosa e tutte le mie commesse si attengono alle mie regole. Le segua scrupolosamente e non mi faccia pentire di averla scelta al posto di mia figlia, visto che lei dovrà impegnarsi nelle sfilate di moda della mia maison. Mi ha capito? Bene, tanto per cominciare come mai, un nome come il suo? Gillian Rossi, davvero strano...”, la voce della signora Mocenigo mi risuonava nelle orecchie, mentre alzavo di nuovo la tavoletta del bagno, rimettendo succhi gastrici e sangue a bizzeffe.

“Signora Mocenigo, sono di madre inglese e padre trevigiano. Sono nata qui a Padova, ho studiato qui letteratura antica. Ho avuto esperienze di commessa in quasi tutti i negozi di Venezia e Treviso, sono adatta per questo lavoro, ho sempre avuto la più alta percentuale di vendite quando gestivo completamente io, il lavoro”, risposi decisa.

“Mi sembra strano, però, che lei per due anni sia rimasta a piedi. Crisi a parte, una ventottenne con il suo aspetto da modella e la sua parlantina non rimane troppo tempo fuori dal mercato, posso sapere cosa le è accaduto da portarla per cosi tanto tempo fuori dal giro e ora nella mia umile bottega”, chiese la signora Mocenigo.

“Voglio essere assolutamente sincera con lei, signora Mocenigo, d'altronde lo verrà a sapere perchè la questura le deve trasmettere la mia scheda. Sono stata tossico dipendente, spacciatrice e prostituta per il mio ex ragazzo”, me ne pentii subito dopo averlo detto, ma non potevo passarla liscia.

Finalmente i conati si fermarono, non riuscivo a respirare dal dolore, avevo iniziato da due settimane il mio lavoro nella bottega della signora Mocenigo, avevo pure ingranato bene, le altre due commesse mi invidiavano per la spigliatezza con cui trattavo le clienti e i loro mariti, i quali, irretiti dai miei modi gentili ed eleganti, dalla mia parlantina bella e soave, compravano a iosa regali su regali.

Ora stavo davvero male nel mio mini appartamento che condividevo da poco più di un anno con la mia amica Rosy, la quale mi aveva accolto e ospitato per tutto il programma di recupero che avevo dovuto seguire per evitare la galera, oltre a denunciare quel porco del mio ragazzo, che mi vendeva agli angoli delle strade, drogandomi fino all'osso a colpi di eroina.

Mi costringeva pure a spacciare, io facevo la cresta sui guadagni, volevo fuggire da lui a ogni costo, ma come avrei solo potuto pensarlo, se non riuscivo a staccarmi dalla roba che mi propinava?

Ero arrivata a chiederla svariate volte al giorno e mi facevo venire fuori la vaginite per pagargliela sull'unghia ogni volta che me lo ordinava.

Dio, che brutti tempi.

Ancora non riuscivo a capire come potevo esserci finita dentro, ricordavo solo che dopo la separazione litigiosa e bastarda dei miei genitori, ero sprofondata nel tunnel più oscuro che ci fosse, volevo farmi male, punto e basta.

E ci ero riuscita anche troppo bene.

Uscii fuori dal bagno, avevo solo l'intimo addosso, le mie tettine scarne non potevano suscitare tanti pensieri in quel momento, aveva la bocca completamente ripiena di qualcosa che mi portò a toccarla con le mani.

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