PUTTANA

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Abitavo in una grande città. E’ difficile avere rapporti umani intensi e veri in una grande città, si corre sempre, si è sempre nervosi. Gli acquisti si fanno in enormi supermercati, dove non ci si guarda nemmeno in faccia. C’è il rovescio della medaglia, piazze magnifiche che tolgono il fiato, negozi sfavillanti, teatri, locali di ogni tipo, scuole, università. A me piaceva vivere in una grande città, tanto i rapporti umani ed intensi non mi interessavano. Ero molto introversa e bellissima. Il mio corpo slanciato e armonioso mi piaceva e mi piaceva essere guardata, adulata dai ragazzi. Sono figlia unica, la solitudine mi ha sempre fatto compagnia. Durante il liceo dopo la scuola mi chiudevo in camera mia, per non ascoltare i veleni che si sputavano addosso i miei genitori. Mia madre bellissima e intelligente per non so quale strana alchimia è riuscita a sposarsi un fallito violento. I rapporti con i ragazzi per me volevano solo dire sesso. Al liceo non avevo problemi, ero introversa, ma ho imparato presto le armi della seduzione. Ho sapientemente evitato i ragazzi della mia classe, puntavo in alto, ho avuto una relazione con alcuni professori. A casa avevo una bellissima collezione di completi intimi che indossavo con grande narcisismo e godevo delle lusinghe degli uomini che non amavo, li usavo per compiacere me stessa, perché in fondo li odiavo. In camera mia piangevo sentendo le urla di mia madre contro un uomo che ormai era l’ombra di se stesso. I parenti di mio padre tifavano per lui. I parenti di mia madre abitavano lontano e, purtroppo, non li conoscevo. Mia madre mi lasciò troppo presto, ero giovanissima e quasi terrorizzata a dover vivere sola con mio padre. Quando iniziò a bere ho temuto per la mia vita. Con l’aiuto di uno dei miei “amici di letto” trovai un piccolo alloggio in un posto degradato della città, anche perché chi darebbe una casa a una disoccupata di vent’anni. Il mio amico garantì per me. Trovai lavoro come commessa, il mio aspetto fisico indubbiamente mi aiutò. Guadagnavo ottocento euro al mese, l’affitto era di quattrocento. E’ inutile dire che non avrei potuto farcela. Una sera ero su internet, allo specchio guardai il mio corpo, il mio bellissimo viso, i miei bellissimi capelli. Mi feci una foto con uno dei miei completino intimi preferiti. “Userò questo”, pensai. “Userò la mia bellezza per potercela fare, userò gli uomini. Loro non servono a niente, solo a farci del male. Tanto vale che mi paghino”. La mia foto andò a finire con altre su un sito di donne che come me vendevano il loro corpo. Sotto alla foto misi un nome d’arte, scelsi Beatrice, ironicamente in netto contrasto con la Beatrice di Dante studiata al liceo. Comprai un altro telefonino e misi il numero sotto alla foto, su quello mi avrebbero chiamato solo i clienti. Passarono alcuni giorni prima che arrivassero le telefonate. Quando chiamò il primo cliente tutta la sicurezza passò e iniziai a preoccuparmi. Decisi di non tirarmi indietro e concordai l’ora dell’incontro. Sul campanello misi un numero scelsi il 6. Io ero pronta con un completino da togliere il fiato, bellissima con i capelli sciolti oltre le spalle. Il cuore mi schizzava via dal petto, mi feci una camomilla. Arrivò alle 21 puntualissimo. Entrò deciso,mi disse: “ Come sei bella!” Lui era orribile. Mi sedetti sul letto perché mi mancarono le forze. “Quanto prendi?” “Per uno così chiedo una cifra esorbitante così se ne va”, pensai terrorizzata. “ Cinquecento euro”, dissi con un filo di voce. “Va bene” , disse lui e mise i soldi sul tavolo. Mi ricordo vagamente, il mio cervello non ce la può fare. E’ stato tutto abbastanza veloce. Col tempo il numero di clienti aumentò. Dove vivevo nessuno faceva caso al via vai degli uomini, in quella zona non ero l’unica a vivere così. Riuscii anche a selezionare i clienti. Alcuni erano abituali. Matteo era il mio cliente del venerdì. Mi rendevo conto che la mia vita era in costante pericolo, ma guadagnai tantissimi soldi e questo faceva allontanare le preoccupazioni. Avendo disponibilità economiche, decisi di realizzare un mio sogno. Mi licenziai dal negozio dove comunque continuavo a lavorare e mi iscrissi all’università. Al mattino seguivo le lezioni, il pomeriggio studiavo e alla sera lavoravo. Mi bastavano pochi clienti, ormai ero una “puttana di lusso”. Al venerdì c’era sempre Matteo. Lui si fermava un po’ di più con me e parlavamo dei suoi problemi famigliari e del suo rapporto con la moglie. Una sera mi disse: “ Bea perché fai questo?” “Una domanda strana per un frequentatore di prostitute”, dissi io abbassando lo sguardo. Matteo mi prese il viso e mi guardò negli occhi : “ Bea, tu hai una strana luce negli occhi, non mi hai mai detto niente di te”. “ Perché vuoi sapere di me? Non ti basta il mio corpo? La mia anima non si tocca … poi le prostitute non hanno un’anima”, dissi io gelida. A queste mie parole Matteo rimase in silenzio per molto tempo, poi disse: “ Ci vediamo venerdì ”. Avevo una doppia vita e per mascherare la mia parte nera, evitavo di farmi amici e parlavo poco. Gli esami all’università stavano andando bene e mi ero ripromessa che una volta laureata avrei trovato un lavoro e avrei smesso. Matteo non perdeva un venerdì e il nostro rapporto era ormai anche di amicizia. Una sera prese in mano uno dei miei libri dell’università che avevo dimenticato sul tavolo e disse: “ Cosa leggi di bello? Questo è un testo che conosco … Bea, cosa fai tutto il giorno?” “ Cosa vuoi sapere? Leggo, vado in palestra, lavoro solo alla sera.”, dissi tranquilla. “ Ti sei mai chiesta come sarà il tuo futuro?” Disse serio. “ Cosa fai il missionario redentore di puttane?”, dissi io sprezzante. “ Dove vivevi, da dove arrivi?” , disse tranquillo. “Matteo, diciamo che sono una sfigata, sono una donna che ha scelto una via facile per ottenere soldi, sono passata dal mio corpo, ho seppellito la mia anima, per far questo ho usato voi uomini che tanto le donne le disprezzate da sempre dal tempo delle caverne”, dissi tutto in un colpo con rabbia mista a dolore. Matteo si avvicinò a me: “ Non è vero che tutti gli uomini disprezzano le donne, tu sei stata profondamente ferita, … ”, disse con uno sguardo di profondo affetto. “ Che cazzo vuoi da me!!” Urlai, le lacrime presero il sopravvento. “Quando te la sentirai mi racconterai” , disse lui calmo mettendosi la giacca per uscire. “Matteo, ma non abbiamo ..” , dissi asciugandomi le lacrime. “ Non importa, abbiamo parlato ”,disse Matteo porgendomi i soldi. Io lo guardai e dissi : “ Non li voglio, ci vediamo venerdì”. Non lo vidi più. “Entri la candidata n. 6 la signorina Alessandra Rossi” , disse il mio professore affacciandosi alla porta. Io guardavo gli altri studenti tutti con al seguito parenti e amici. Anche per discutere la tesi io ero sola, ero ovviamente sola. Entrai nell’aula tranquilla, guardai i miei professori schierati e incontrai il suo sguardo. Rimasi pietrificata, non riuscii più a camminare. L’eventualità di trovare un mio cliente all’università era remota, ma non impossibile. Matteo abbassò lo sguardo, il mio professore lo indicò e disse: “Signorina lei ha l’onore di essere ascoltata dal Rettore della nostra università”. Una forza sconosciuta mi portò fino alla sedia, mi sedetti di fronte ai professori, iniziai a tremare, non sentivo più nessun suono solo l’angoscia che dentro di me salì alla gola, raggiunse gli occhi e si trasformò il lacrime. Iniziai a piangere come quando ero bambina, come quando sentivo mio padre picchiare mia madre, singhiozzando. Una nausea fortissima mi fece avvicinare le mani alla bocca, iniziai a vomitare. Matteo, si alzò di scatto dalla sedia e disse. “Ci penso io”. Mi sollevò di peso e mi portò in bagno. Mi avvicinai al water e continuai a vomitare. Sentivo Matteo che dietro di me diceva: “Coraggio, ormai è fatta!” Matteo mi reggeva per un braccio con l’altro prese la carta igienica. Mi girai verso di lui, mi pulii la bocca con le mani, Matteo me le tolse e mi pulì con la carta. “Sapevi tutto” , dissi io con la voce rauca per lo sforzo. “ Bea, da quando è arrivata l’iscrizione, con la tua foto, ho cercato di farti parlare, ma …”, disse Matteo continuando a tenermi per le braccia. “ Lasciami, non chiamarmi Bea”, dissi io spingendolo lontano da me. “ Hai ragione, scusa ora Bea non c’è più. Lavati il viso, torna di là, fatti coraggio” “ Coraggio, coraggio … Che ne sarà di me??”, urlai. “Chi mi sarà vicino?? Cosa serve una laurea ad una puttana??”, urlai più forte. “Calmati ti sentono”, disse Matteo preoccupato. Mi abbracciò e piano all’orecchio disse: “Chiunque di noi potrebbe avere una parte in ombra, pensa a me Rettore di un’università, padre di famiglia che usufruiva di amore a pagamento … con una ragazza. Siamo in due a dover urlare. Ora, lavati il viso, torna di là e discuti la tua tesi. Sei in gamba, puoi ricominciare. Tieni” . Matteo mi mise in tasca un biglietto da visita. “ E’ una mia amica, vai da lei, cura la tua ferita”. Tornai in aula, mi fecero anche un applauso di incoraggiamento. All’università lasciai Bea, dalla porta principale uscì Alessandra, lessi il biglietto che mi aveva lasciato Matteo era l’indirizzo di una psichiatra. Lo buttai via “ Le ferite dell’anima non guariscono”, pensai.
Decisi che non avrei mai avuto figli. 

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