Reiner è tenuto occupato dalla stessa donna che prima se l'era trascinato in pista e che per tutta la serata non ha fatto altro che tentare di ingraziarselo... Non abbastanza occupato da non accorgersi che qualcosa è andato storto: sono tornata stravolta, ho acchiappato Hoffmann ridotto a un rifiuto umano e l'ho condotto fuori sulla terrazza, di fretta, perché temevo che Rüdiger mi avrebbe inseguita.Non ho avuto il tempo di chiedere permesso. Ernst, ormai alticcio, ha singhiozzato un: «dove andiamo, bella signorina?» e io, non troppo gentilmente, gli ho fatto capire che non doveva pormi domande. Portarlo in giardino è l'ultima carta che mi è rimasta da giocare, l'unica che non contempli il dovergli calare le braghe. Non era più nelle condizioni di ballare e il suo stomaco penso avrebbe retto qualunque cosa, anche un cinghiale intero, visti gli scarsi risultati ottenuti. L'ho ingozzato come un porcellino da latte e nemmeno sono riuscita a ingolfarlo. Di intrattenersi a scala quaranta proprio non se ne sarebbe parlato; non erano queste le sue intenzioni e lui voleva restare rigorosamente con me. Se possibile, solo con me.
E dovevo pur garantire la riuscita del piano... di certo, non mi sarei avviata di sopra, dove la signora sarebbe potuta sbucare fuori dalla camera di Rüdiger e sorprenderci insieme. Oltretutto, Reiner, con la scusa di voler fumare una sigaretta, potrebbe raggiungermi in qualsivoglia momento, indisturbato, come so che farà.
«Una passeggiata all'aperto, io e voi» l'ho incitato, solare, atteggiandomi a ragazzina buona di cuore. Ho mentito di nuovo circa la mia età: da diciotto che sono, a quattordici che avevo dichiarato, a sedici di adesso. Una via di mezzo, ho pensato. Né indecentemente minorenne, né troppo adulta per i canoni di un uomo perverso.
Il venir importunata da lui mi disgusta sempre di più. Ha le pupille che sono due frittelle, gli occhi fissi sulla scollatura e sulla bocca che, in realtà, è più asciutta delle dune del Sahara. «Dove andiamo?» Mi domanda che è tutto un tremito, strizzandomi la mano.
L'ho spinto a girare in tondo, a camminare sotto il pergolato fiorito, a passare accanto alla botola dello scantinato, dove il nipote praticava i suoi macabri rituali. Uno ogni mese, per un totale di cinque morti... e questi solo da quando Rüdiger aveva provveduto ad allestirgli uno spazio dedicato. Nessuna meta all'orizzonte; soltanto un vagare impreciso in attesa che il tempo passi. Ho tenuto conto dell'indole vendicativa di Rüdiger e un ennesimo dispetto da parte sua rappresenterebbe senz'altro il panorama peggiore. Sto intortando Hoffmann di chiacchiere inutili; gli sto chiedendo informazioni che non mi interessano e a cui lui risponde vagamente avvilito, talvolta con frasi sconnesse, aspettandosi ben altro da me. Dopo tre giri completi, stordito dall'alcol e dalle mie parole, getta la spugna, lasciando da parte i convenevoli. «Siete davvero, davvero carina» mi dice, lisciandomi una guancia. «Una ragazzina dolce e carina.»
Lo devo tollerare, non posso scompormi ora. «Oh, che gentile. Grazie.» Non mi ha dato l'idea di volermi assalire; presumibilmente non è una di quelle persone che diventano aggressive da ubriache. E forse non sarebbe così insistente se Rüdiger non gli avesse promesso che mi sarei concessa volentieri a lui.
Sono in procinto di inventarmi una giustificazione che possa prosciorgliermi da quell'incarico oneroso, ma, appena scorgo Reiner in lontananza, me ne rallegro, convinta che adesso sarà lui a sistemare le cose. Reiner non si fa sentire; Ernst persevera nel suo approccio e non si rende conto dell'ingombrante presenza che, nel frattempo, è arrivata proprio alle sue spalle. Se non avesse bevuto, avrebbe realizzato che i miei occhi puntano una torre e che avrebbe dovuto avere due teste impilate una sopra all'altra per poter essere il destinatario del mio sguardo. Ernst continua a non accorgersi di nulla. Reiner approfitta del suo stato confusionario per stringergli un braccio intorno al collo e non lo rilascia nemmeno dopo che l'altro inizia a dare segni di cedimento. Ernst non riesce a opporre resistenza; ha il respiro mozzo, le guance rosse, gli occhi lacrimanti volti al cielo nero. Ho alzato la mano come a intimare a Reiner di smettere, ma lui non si è espresso in merito: il suo sguardo ha parlato al posto suo. Mi ha fatto capire che non è sua intenzione ucciderlo, che quando Hoffmann si risveglierà, non ricorderà nulla di ciò che gli è capitato.
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Unsere Schatten - Le nostre ombre
Ficción histórica[EX CANONE INVERSO - BEHIND ENEMY LINES] Estate, 1942. Alle porte di Auschwitz-Birkenau una ragazzina corre a perdifiato, cercando di sfuggire al suo destino. Cade dal suo scranno dorato; non sa nulla del mondo, tanto più dei bui anni quaranta, un...