EPILOGO

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Erano esattamente tre anni che io e Julian stavamo insieme, appena finito il college ci eravamo trasferiti in una piccola villetta a Brooklyn, lavoravo come modella presso un giornale e, una volta che Rachel sarebbe tornata da Parigi, dove le mancava un anno per finire il master in fotografia avremmo aperto uno studio tutto nostro. Julian lavorava da suo padre, le aziende della nostra famiglia si erano unite in un'unica società, avevano assunto molti altri ragazzi, tra cui Jared, ovviamente, Julian continuava a giocare a football in una piccola squadra, l'avevano appena nominato vice-allenatore e ne era entusiasta, la sua salute aveva fatto passi da gigante, doveva fare solo qualche controllo di tanto in tanto ma stava bene; ricorderete che il nostro anniversario combaciava con il compleanno dei gemelli, infatti eravamo in ritardo per la loro festa, ma Julian aveva insistito per venirmi a prendere in studio e, prima di aprire la porta di casa mi aveva bendata con una benda nera e sapeva bene quanto odiassi le sorprese

-Julian, lo sai che- mi interruppe

-odi le sorprese- ormai sapeva quella frase a memoria, si mise a ridere, tutte le volte che mi aveva bendata per una "sorpresa" finiva sempre per essere una cosa fantastica e indimenticabile, fece così quando comprò la villetta, con la mia auto e quando mi regalò un viaggio in Arizona, perciò potevo aspettarmi qualsiasi cosa, davvero qualsiasi.

Sentì scattare la serratura e automaticamente entrai in casa, quando mi sbendò notai subito una scatola di cartone con sopra un grande fiocco rosso, perché mi aveva bendata se la sorpresa era impacchettata? Dalla scatola uscivano dei rumori impercettibili, lo guardai confusa

-aprilo e buon anniversario- sorridendo e morendo dalla curiosità andai verso la scatola misteriosa, mentre slegavo il fiocchetto si mosse leggermente, ma che c'era dentro? Un serpente?

-non esploderà, tranquilla- il suo umorismo non l'aveva abbandonato, per fortuna perché lo amavo anche per quello, sollevai piano il coperchio di cartone che aveva dei buchini e quasi mi prese un colpo: un cucciolo di labrador retriever color cioccolato uscì dalla scatola, sbattei le palpebre più volte

-ma è un cane! - lo presi in braccio, era così morbido!

-dici? Non l'avevo capito- andai verso di lui e li tirai uno schiaffetto sulla spalla

-stupido! - Julian mi aveva regalato un cagnolino, notai un collarino rosso, lessi la targhetta: Peach, bel nome, pensai.

Continuai a coccolarlo senza rendermi ancora conto che era nostro, che era l'inizio della nostra famiglia; ad un certo punto Julian lo prese dalle mie braccia e lo posò a terra, lui stava in piedi a malapena e scivolava sul parquet, sembrava un piccolo cioccolatino, mentre lo guardavo camminare fin sul tappeto Julian posizionò una busta davanti al viso, la presi e lo guardai mentre cercavo di aprirla, finalmente ci riuscì, era una lettera, la sua calligrafia era nettamente migliorata

"Cara Peach,

dovrei dirti davvero tante cose, troppe a dire il vero.

Sinceramente non so da dove cominciare così mi affiderò al cuore che ormai è completamente e totalmente tuo.

Partirei con il raccontarti del primo ricordo che ho di te, crederai che sia quello del pugno alle elementari ma non è così.

Non mi ricordo di preciso che giorno era, domenica, credo, mio padre mi mostrò una fotografia, era molto bella, era quella del mio primo compleanno, c'erano molte persone nella stanza ma io notai subito una bimba con gli occhi verdi nell'angolino a destra, i capelli rossicci ti rendevano la più carina della festa (persino più di me), domandai a mio padre chi fosse quella dolce bimba e lui mi disse il tuo nome, Savannah, in quel momento promisi a me stesso che, in questa vita o in un'atra quella Savannah sarebbe stata mia, avevo solo sei anni ma ero molto determinato e cocciuto (chiedilo a Miranda!), iniziata la scuola, quando la maestra chiese a tutti di presentarsi io ti conoscevo già, sapevo chi eri, sapevo come ti chiamavi e sapevo che ti avrei amata per tutta la mia esistenza, anche quando tu dicevi alle altre bambine quanto ti stessi antipatico e quanto mi odiassi io sapevo che ti avrei conquistata, un giorno, mi ero promesso che avrei fatto il possibile per averti e posso dire che ci sono riuscito, dopo ventun anni!

Il riassunto di quello che vorrei dirti è che ti ho aspettata per così tanto che non ti lascerò andare mai, farò in modo di stare sempre al tuo fianco.

È una minaccia? Penserai.

Beh, io ti dico che no, non è una minaccia, è una promessa.

E sarà l'unica promessa che manterrò per sempre.

Ti amo, non sai quanto.

Julian.

P.S.: ricordati del compleanno di mia sorella, altrimenti si arrabbia, sai com'è fatta!"

Tentai di richiudere la lettera, mi ero emozionata talmente tanto che stavo tremando, quando mi decisi ad alzare lo sguardo incrociai subito il suo e come al solito, la vista dei suoi occhi, del suo sorriso e dei suoi riccioli scuri, insomma la vista di lui mi fece battere forte il cuore.

Mi faceva sempre lo stesso effetto.

L'effetto che tanti chiamano "amore".

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