Max Ernst sulle mura utopiche

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Se c'è una cosa che odio di più al mondo è il flusso irruente di pensieri discostanti tra loro che mi soffoca quando sono tra le tue braccia

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Se c'è una cosa che odio di più al mondo è il flusso irruente di pensieri discostanti tra loro che mi soffoca quando sono tra le tue braccia. E Dio, in momenti come questi desidererei solo scomparire!
Te ne andrai? Te ne andrai quando la mezzanotte scoccherà? Te ne andrai o rimarrai?

I tuoi capelli son sudati e hanno addolcito il cuscino pallido che senza di essi sarebbe solo inutile, perché ogni millimetro di te rende questo mondo di merda un po' migliore. Le ciocche biancastre ti rendono ancora più bello, perché sembri fuoriuscito dalla galassia – se potessi, ti giuro, ti porterei ogni costellazione. Le ruberei, lo farei per te: dimmi, quale astro t'interessa? Lo ruberò alla volta celeste per te.

I tuoi occhi son scuri, ma mi scottano il corpo quando mi sfiorano con il loro sguardo pungente. Percorrono un tratto che ormai so a memoria, ma della quale stendo a saziarmene: il tragitto è inoperoso, ma mi piace come mi sbrani il corpo con gli occhi. Mi piace come ti soffermi sulle mie spalle, come scendi verso i miei fianchi e ti soffermi sulle mie cosce lattee, contornate da piccoli nei scostanti tra loro.

Ma il crepacuore mi viene solo quando il tuo volto mette su un'espressione melliflua, mi guardi con sufficienza. Mi tremano le cosce. Oh, Beomgyu, quanto mi piaci. Quanto mi piaci, Beomgyu, non ne hai la minima idea.
Non sai quanto io sia pazzo di te, come mi piace percorrere tragitti lunghi chilometri con le mie dita sul tuo petto mentre tu sonnecchi beato; non sai neanche quanto io arrossisca, come le mie guance diventino del medesimo colore della tua bocca rosea e carnosa come i boccioli, solo in tua presenza. Mi faccio piccolo piccolo, come un pargolo tra le braccia di chi l'ha messo al mondo che le si stringe per paura che possa andar via.
E piangerei, se potessi. Se non avessi vergogna di mostrarmi debole a te; sei troppo bello, ed io stento a credere che tu esista. E solo al grattacapo che tu sia reale allora mi sento un po' inutile, perché Kang Taehyun a differenza tua è carta bianca.

Tu sei una poesia, sei una giapponese, ti piacciono gli Haiku, vero? Dici sempre di no, ma la verità è che lo fai perché vuoi apparire cone un pazzo menefreghista allo sguardo altrui, non vuoi che ti si venga detto che sei un secchione. Non vuoi che gli altri ti paragonino a me, perché sarebbe rivoltante. Anch'io mi prenderei vergogna se fossi in te, ma non te ne faccio una colpa! Signore, punisci ogni peccatore ma perdona sempre Choi Beomgyu, lascia ch'egli sia felice ogni istante della sua effimera vita!

Ed anche se dinnanzi agli altri m'odi, mi sputi parole cariche dell'ira funeste d'Achille, anche se le tue dolci iridi si metamorfosano in pungenti spine a me non importa.
Non m'importa neanche se gli steli cremiso della rosa assumono il medesimo colore del mio corpo quando ti diverti ad infastidirlo e a procurargli dolore, purché io possa stare al tuo fianco. Oh, Beomgyu, son proprio un pazzo! Sono da ricovero!
Ma non m'importa, lascia che sia io a leggerti gli Haiku più belli quando siam soli, quando a circondarci sono solo le mura della tua camera tappezzata di quadri surrealistici e di poster anni novanta. Sfumiamoci con loro, catapultiamoci nella loro realtà: siamo i Taehyun e i Beomgyu che in questa realtà non possono amarsi, perché siamo entrambi uomini. Perché se lo facessimo, il mondo c'odierebbe.

Ed allora mi do i pizzichi sul pancino, quello alla quale poi lasci i bacini. Li lasci piano, con tenerezza; mi fai sentire bene quando fai così, non lo sai ma il mio cuoricino prende a battere tanto. Mi fai andare in confusione, perché detesto dovermi sentir così, detesto essere alla tua mercé.
« Perché ti piace il surrealismo? » Ed allora ti chiedo, mentre mi fai sedere sul piccolo tavolo in legno della tua sala da pranzo. Tu stai sulla sedia, la sigaretta penzola dalle tue labbra ed è china verso le mattonelle bianche; c'hai indosso una camicia rossa e nera a scacchi e dei jeans strappati. Oh, Beomgyu, anche il tuo corpo a differenza del mio è arte pura. Sei scolpito da Michelangelo. Il mio è solo un misero corpicino, magrolino e privo di muscoli. Mi detesto.

Tu sorridi sghembo, i tuoi occhi son contornati da occhiaie perché abbiamo passato l'intera notte ad interloquire di qualsiasi chiaroscuro si facesse spazio nella nostra psiche. Porti la mano libera sulla mia coscia, ora scoperta perché a coprirmi c'è solo la tua maglia dei Pink Floyd.
« Perché è surreale. Ed è tale anche la possibilità ch'io e te possiamo amarci senza fuggire » E la tua bocca si stende in una risata sarcastica. Mi sforzo di sorridere e porto la tua mano – sicuramente più grande della mia – alla mia guancia, lasciando su essa una carezza.

Ma poi ci son notti che mi stringi, non vuoi lasciarmi più andare; mi baci la schiena e ti metti a contare i miei nei. Mi chiedi gentilmente di poggiare la testa sul tuo petto e mi domandi con cura se puoi baciarmi i capelli, mi dici che ti piace lo shampoo che uso. Mi complimenti, per te da biondo son bello.
Ma sbotti che son bello sempre, che per te sono d'una bellezza rara, che se Monet m'avesse visto allora Camille non sarebbe stata più il suo soggetto preferito, perché lo sarei divenuto io.
« Sto così bene con te » Sussurri piano, e la fioca luce dei lampioni m'illumina il tuo volto: è contratto in un'espressione ricolma di dolore e tristezza. Mi spezza il cuore e me lo calpesta. Quando fai così vorrei scomparire, sono la causa dei tuoi mali.

Dimmi Beomgyu, scapperai? Fuggirai? Forse non dovresti farlo, d'altronde son io che ho finito con l'intrufolarmi nella tua vita. Desideravo ustionare il mio corpo, e mi son ritrovato con innumerevoli lividi su di esso – perché la mente umana è uguale a quella di Saturno quando c'aveva dinnanzi i suoi figli: è spietata. Noi non siamo fatti per questo mondo. Andiamocene su Marte, andiamocene su Saturno!
I tuoi occhi son chiusi, dormi tranquillo tra le mie braccia e di tanto e in tanto borbotti qualche parola sconnessa nel sonno, ma in modo fin troppo lieve per far sì ch'io senta. L'orologio in camera tua, quello appeso al lato destro della porta, segna l'orario: sono le 23:55.

Mi stringi, il tuo corpo muscoloso mi prega di non andarmene. Il mio invece t'appartiene, in ogni parte lampeggia il tuo nome anche se i comuni mortali non possono vederlo, ma non m'importa. Non m'importa perché tu lo sai, te l'ho detto io con uno filo di voce dopo che avevamo fatto sesso.
Perché è solo sesso il nostro, no? Sarebbe rivoltante definirlo qualcosa di più, sarebbe uno svarione se osassi paragonarmi a te! Tu sei così bello, ma sei anche distante anni luce da me. Ma le mie gambe dolano, a scuola mi dicono che son grasso. Ed allora non mangio. Di solito lo fanno quando tu non ci sei, ma dubito possa cambiarti qualcosa, d'altronde la loro è solo una realtà oggettiva. Non ti preoccupare.

Sono le 23:58 quando raccatto con furia i panni poggiati sulla sedia, quella della scrivania. Il tuo volto è ancora dormiente, il tuo faccino angelico ora c'ha i lineamenti rilassati ed i capelli sono un ammasso disordinato che diventa un tutt'uno col cuscino.
Indosso i panni, ed ora mi manca solo andarmene. Ti sorrido, ma so che non puoi vedermi, so e spero che ora tu stia sognando qualcosa di dolce, come te. Perché sei tutto bello, ed io son pazzo folle di te.

Il materasso s'abbassa ed il letto cigola un secondo quando poggio il ginocchio su d'esso, con lo scopo di bagnarti la fronte con un mio bacio. Le labbra no: sarebbe troppo doloroso, ed il cuore finirebbe per morirmi.
M'inebrio del tuo profumo, è buono. Mi piaci così tanto, Gyu. Mi piaci, tanto tanto. Davvero, tutto di te mi piace. Ma non siamo fatti per questa realtà, rincontriamoci nei sogni.
« Buona vita, Beomgyu » Sussurro fiocamente, e la mia presenza diventa solo un ricordo astratto nella tua camera da letto.

« Buona vita, Beomgyu » Sussurro fiocamente, e la mia presenza diventa solo un ricordo astratto nella tua camera da letto

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