Ho sognato la fine dei tempi. Ho assistito all'annichilimento dell'universo. Mi è stato offerto il dono di sopravvivere a tutto ciò e di osservare l'apocalisse da una posizione privilegiata. Non avrei dovuto accettare.
Un giorno, a me e ad altri sei personaggi venne offerto, da parte di qualcuno (o nessuno, non identificabile come persona o essere materiale) un talismano, un uovo poco più grande del normale, che avremmo dovuto tenere fino a che il mondo non fosse stato distrutto. Ci avrebbe protetto dai cataclismi e sarei stato in grado di osservare come un essere esterno all'ambiente. I dettagli di questo anomalo incontro mi sono ancora sconosciuti, non so perché sono stato scelto; e non voglio saperlo.
I giorni successivi assistetti al declino dell'umanità: un continuo susseguirsi di disastri naturali che decimarono la popolazione; rivolte contro il nulla, il caos; la rassegnazione negli occhi di chi sopravviveva e moriva poco dopo per mano propria. Non mancava molto. Non ero pronto. Perché dovevo assistere al dolore senza poter fare nulla per salvarli? Non potevo almeno fare la loro stessa fine? Il mio destino sarebbe stato ben peggiore.
L'ultimo giorno, la Terra era irriconoscibile: non v'era traccia di vita umana, animale o vegetale. Solo io, e gli altri sei destinati come me ad un lungo, lunghissimo soggiorno nel nulla eravamo coscienti di esistere. Non ci scambiammo mai delle parole, non ci conoscevamo e non volevamo conoscerci. In ogni caso, nessuno di noi aveva delle risposte a quello che sarebbe accaduto dopo. Vedemmo sopra di noi la collisione delle stelle con meteoriti più grandi di Giove, buchi neri che si contorcevano in una danza macabra oltre la Via Lattea, l'implosione di corpi celesti che non sarebbero sopravvissuti un minuto di più alla fine. Qualche momento dopo, anche la Terra venne disintegrata.
Ci ritrovammo in uno spazio nero, in cui potevamo vedere solo noi stessi e gli amuleti a forma di uova. Un essere non identificabile dalla mente molto simile a quella umana comparve, e senza parlare chiese di avere gli artefatti. Quando glieli demmo, ognuno di noi venne smaterializzato, per poi comparire in un'altra dimensione, terribile nella sua semplicità.
Non so dove andarono gli altri o cosa videro, ma penso che abbiano avuto un destino simile al mio: mi ritrovai seduto sulla poltrona in camera mia, capii subito che era una finta ricostruzione, immateriale, qualcosa cui esseri superiori ed inimmaginabili, ma razionali, avevano attinto dalla mia memoria per rendermi il soggiorno infinito il più piacevole possibile. Non funzionò.
Nessuno mi venne a spiegare cosa dovevo fare lì, né avevo istruzioni scritte: inspiegabilmente sapevo già cosa dovevo fare. Da quel luogo maledetto potevo accedere alla memoria di qualunque persona fosse mai esistita, vedere i suoi ricordi, assistere a ciò a cui assistettero coloro estinti. Non potevo fare altro che guardare la vita degli altri, di quelli che furono, senza poter più avere indietro la mia.
Provai ad alzarmi e ad uscire dalla stanza, ma mi fu impossibile: le uniche cose che potevo fare attraverso i movimenti del mio corpo tremendamente limitato erano lo stare seduto sulla poltrona o alzarmi in piedi davanti ad essa. Non potevo fare un altro passo.
Era così che dovevo passare l'eternità? Guardare ricordi delle persone senza avere i miei? Mi resi conto che sentivo già da quando ero sulla Terra, nei suoi ultimi momenti, un lieve dolore in tutto il corpo, quasi impercettibile ma costante. Un male che mi avrebbe logorato corpo e mente fino Urlai fino a sgolarmi. Non avrei dovuto accettare l'offerta del Demonio.
Non avrei dovuto.
Poi mi svegliai.