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Il rituale cominciò, come ogni giorno delle precedenti due settimane, alle 09.00. La sveglia suonò, lui la spense e cercò di capire dove si trovasse e cosa ci facesse in quel posto. La casa era ancora vuota e completamente silenziosa, e lo sarebbe stato almeno fino a mezzogiorno. Stavolta impiegò meno di quindici secondi a ricordare che si trovava sul divano di Camilla, che dormiva profondamente nella stanza affianco. Senza muovere un muscolo, rimanendo nella stessa posizione fetale nella quale si era svegliato, iniziò, come al solito, a riflettere sulla sua prossima mossa: si sarebbe alzato, magari preparando una colazione di ringraziamento alla sua involontaria coinquilina, per poi rendere produttiva la mattinata in qualche modo? Oppure si sarebbe rimesso a dormire, sconfortato dall'apatia con la quale avrebbe compiuto qualsiasi azione, aspettando che Camilla lo venisse a svegliare? Non aveva più sonno, eppure decise di forzarsi a dormire, insofferente al pensiero di trascorrere tre ore in compagnia unicamente dei suoi pensieri.

Camilla entrò nel salotto/cucina alle 12.25, gettando un'occhiata rapida e rassegnata alla carcassa rannicchiata sul suo minuscolo divano. Non lo svegliò. Non l'aveva più fatto dopo i primi quattro giorni di convivenza. Sapeva che per farlo alzare sarebbe bastato l'aroma del caffè, unito al senso di colpa che l'avrebbe investito immediatamente dopo. E infatti, quando la moka emise i suoi primi fischi, un ''Buongiorno'' biascicato raggiunse le sue orecchie ancora mezze addormentate.

Camilla sfoggiò il suo sorriso più naturale, osservò la scena (piuttosto patetica) del suo amico che si sforzava di mettersi in piedi, e rispose al suo saluto. Si domandò con quale frase avrebbe esordito, se con il più frequente ''Siediti, faccio io qui'', con il più raro ''Oggi niente Stefano?'', con un inaspettato ''Oggi mi sento carico'' (che esclamò solo una volta, il terzo giorno, per poi rimangiarsi tutto nei successivi dieci minuti) oppure, più probabilmente, avrebbe mantenuto un religioso silenzio, sedendosi a tavola. Come Camilla si aspettava, le chiese se quel giorno Stefano li avrebbe deliziati della sua compagnia. Lei, mantenendo il suo sorriso (che lui interpretava come un misto di pietà, odio represso e speranza che si levasse dalle palle, cosa che lo rendeva persino più depresso di quanto non fosse al risveglio) scosse la testa mentre versava il caffè bollente in due tazzine. Ormai abituata a quella routine, si diresse verso il frigo, in una specie di gara segreta con se stessa: sarebbe riuscita a versargli un goccio di latte nel caffè prima che lui le chiedesse ''Posso avere del latte?''(cosa che inizialmente la irritava, perché sembrava che ormai non conoscesse alla perfezione le sue abitudini, ma che ora la divertiva, quasi con tenerezza)?

Inutilmente, gli porse il pacco di biscotti, ben sapendo che lui la mattina ha lo stomaco chiuso e riesce a bere solo un caffè. Prima aveva l'abitudine di accompagnarlo con una tazza di latte, cereali integrali e una bustina di integratori di potassio, per iniziare la giornata con tutte le energie necessarie. Camilla ricordò questa sua consuetudine, notando al contempo quanto fosse dimagrito ultimamente (ed era già fin troppo magro prima).

Bevuto il caffè, Camilla afferrò il posacenere che conservava sul davanzale della finestra, sapendo benissimo che a momenti lui si sarebbe rollato una sigaretta (con il tabacco di lei, dato che lui non comprava un pacchetto da almeno tre giorni, cosa rara per i suoi standard).

- Anna? – la sua voce sembrava provenire da una caverna.

- É andata a fare la spesa. – rispose lei, aggiungendo – Le ho detto di prenderti il succo all'arancia. Skipper. –

Questa frase lo scagliò in un vuoto di riflessione. Non aveva neppure fatto caso all'assenza del succo, finito ormai da due giorni, ma il fatto che lei si fosse presa la briga di procurarglielo, pur essendo lui l'unico in quella casa che lo beveva, lo commosse e lo fece sentire ancora peggio. Lei se ne rese conto osservando il suo sguardo perso nel vuoto, e dapprima si sentì in colpa, ma questa sensazione fu subito rimpiazzata dall'irritazione.

''Diosanto, adesso non posso nemmeno più fare un gesto gentile nei suoi confronti. Si fotta.'' Si alzò e andò in camera a prendere il telefono, lasciandolo a rimuginare al tavolo. Lui non se ne accorse nemmeno.

Una ventina di minuti dopo, Camilla uscì dalla sua stanza e gli disse che stava andando a fare colazione con Sara (il caffè, per le persone normali, non è considerabile colazione), chiedendogli se voleva unirsi a loro. Non era solo un atto di compassione: una volta uscito di casa e svegliatosi, Lui tornava ad essere una persona se non allegra quantomeno piacevole da avere attorno. Lui annuì, ancora assonnato, e si diresse verso il bagno per lavarsi i denti.

- Ti aspetto giù! – Camilla prese borsa, mascherina, tabacco e chiavi e uscì. Non si aspettava di vederlo uscire dal portone con dei vestiti diversi rispetto a quelli della sera prima, e infatti non fu così. Indossava la stessa maglietta nera e gli stessi pantaloncini neri, abbinati alle scarpe nere. Uno potrebbe pensare che voleva far combaciare il suo look al suo umore, ma la verità è che non faceva nemmeno più caso a come si vestiva. Non indossava nemmeno la sua catenina, di cui era sempre andato stranamente fiero. I suoi occhiali da sole, però, erano sempre lì, in prima linea, a nascondere il suo sguardo cadaverico ai passanti.

''Per fortuna il bar è dietro l'angolo.'' Pensò Camilla, che non aveva la minima voglia di camminare per lunghi percorsi immersa in quel silenzio disagiante, e iniziò a contare i minuti che ci avrebbe messo Lui a sciogliersi.

Dieci minuti: il tempo di arrivare al bar, salutare Sara, ordinare e scambiare un paio di battute. Il primo sorriso comparve dopo che Sara raccontò di come la sera prima aveva fumato una canna gigante ed era collassata. Il fatto che Sara fosse una fattona l'aveva sempre divertito. Non che lui e Camilla non lo fossero, anzi: le ultime due settimane erano state scandite dal numero di sere in cui Lui era riuscito a dormire solo grazie all'erba di Camilla.

''Dovrò comprarne il doppio la prossima volta'' riflettè lui. ''Sia per me che per tutta quella che le ho scroccato ultimamente. Devo comprare troppa roba. Il tabacco...'' Non che avesse problemi di soldi: semplicemente non aveva la minima voglia di andare a comprare quello che gli serviva. Il tabacchi, però, era alle sue spalle, e usare quello di Camilla o di Sara invece di alzare il culo e andarlo a prendere sarebbe stato da schiaffi. Inoltre, la compagnia lo rendeva leggermente più attivo, quindi (non senza un certo sforzo) si assentò un minuto per andare a prendere il necessario.

Mentre tornava al bar, girandosi una sigaretta, si chiese se Camilla avesse sfruttato la sua breve assenza per sfogarsi con Sara su di lui. Un pensiero senza malizia, anzi, sperava che fosse così: con tutto il disturbo che stava causando a quella povera ragazza, come minimo aveva il diritto di insultarlo alle sue spalle.

Eppure, tornato al tavolo, le trovò intente a scherzare sugli ubriaconi che circondavano la stazione dei treni accanto al bar. Raramente, negli ultimi giorni, una qualsiasi conversazione si era spostata su di lui. Non sapeva se essere infastidito o sollevato: fosse stato per lui avrebbe parlato dei suoi problemi 24h, ma sapeva benissimo che il motivo per cui nessuno gli faceva più domande era non fargli pensare a certe cose. Inutile. I suoi pensieri erano fissi, e non scomparivano ignorandoli.

Dopo aver ascoltato per qualche minuto i racconti delle sue amiche, cacciò il telefono dalla tasca e, istintivamente, poggiò il dito nello spazio dove due settimane prima era posizionata l'icona di instagram, aprendo invece la calcolatrice. Ogni giorno commetteva lo stesso errore, eppure ancora non si era abituato. A volte avvertiva il bisogno quasi fisico di sapere cosa stava succedendo alle persone attorno a lui attraverso le loro storie su instagram, ma sapeva bene quale rischio avrebbe corso reinstallando l'applicazione. Anche se aveva bloccato entrambi, insieme a tutti i loro amici, la tentazione di sbloccarli e di cercare i loro profili sarebbe stata troppo forte. Meglio così. Meglio allontanarsi da quel mondo ossessivo e morboso. In fondo l'aveva sempre voluto fare, e ora aveva finalmente la scusa.

Posò il telefono sul tavolino. Forse con troppa forza, dato che entrambe le ragazze si ammutolirono e lo guardarono con aria preoccupata.

- Tutto bene? – Sara sorrideva, ma non Camilla.

- Che c'è? – Camilla gli toccò il braccio. Lui le sorrise.

- Niente. Il solito. –

- Vuoi parlarne? – Questa era la cosa che più apprezzava di Camilla. Aveva ascoltato le sue lagne più volte di quante ne potesse contare, eppure era sempre lì, ad ascoltarle ancora, e ancora, e ancora.

Lui guardò prima Sara, analizzando la sua espressione, per decidere se le sarebbe pesato o meno ascoltare i suoi problemi per l'ennesima volta, poi guardò Camilla e annuì. 

Uscire dal vorticeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora