Underground

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Don't tell me truth hurts, little girl
'Cause it hurts like hell 

*

Savino cacciò in bocca un'altra cucchiaiata di pasta e lenticchie Knorr, masticando in fretta, per finire il prima possibile. La minestra in busta non era esattamente la sua passione, ma quel giorno il convento (per dirla alla maniera di sua madre) non passava altro: frigo e dispensa erano mezzi vuoti, era già tardi per il pranzo e nessuno aveva voglia di mettersi a cucinare.

Cecilia mangiava con lentezza esasperante, tutta presa dal racconto di qualcosa che riguardava le lezioni scolastiche di quella mattina, ma parlava così veloce e in maniera talmente confusa che Savino riusciva a farsi solo un'idea molto vaga di ciò che stesse dicendo. La mamma sembrava esausta e guardava di sottecchi il telegiornale, annuendo in momenti più o meno casuali del discorso di Cecilia, evidentemente rassegnata a non capire nulla della confusa zuppa di soggetti, complementi e predicati che usciva dalla bocca della figlia. Papà ogni tanto cercava di ricordare a Cecilia di parlare più lentamente, ma non serviva a molto. Sua sorella, osservò Savino, doveva essere stanca, forse per via di un'altra notte nella quale aveva dormito poco e male: i suoi capelli erano più impazziti del solito, gli occhi erano vitrei e un po' spiritati.

A Savino la sedia iniziava a scottare sotto il sedere. Desiderò essere già in cortile con Rebecca: aveva un paio di idee per il film che, era sicuro, le sarebbero piaciute. Il pensiero di vedersi alla loro panchina lo illuminò, facendogli dimenticare per un attimo l'atmosfera sgradevole al tavolo da pranzo. Non gli importava nemmeno della pioggia primaverile che batteva contro i vetri della finestra: se avesse iniziato a venire giù forte, avrebbero potuto sempre ripararsi nell'androne di un palazzo.

Il lungo monologo di Cecilia giunse alla fine. L'attenzione di tutti si spostò al telegiornale, dove la maggior parte delle notizie riguardava (sorpresa sorpresa) il Coronavirus. La conduttrice stava sciorinando una lunga serie di recenti violazioni della quarantena: chi si era allontanato troppo da casa per andare a correre, chi aveva portato fuori il cane troppe volte, chi si era incontrato clandestinamente con amici e parenti, chi era andato più di una volta al supermercato per acquistare generi non di prima necessità. C'erano già state migliaia di denunce.

"I festini, questi fanno i festini," brontolò la mamma. "Capito, sì? Stiamo quasi a ventimila morti e ancora ci sono quelli che non l'hanno capito che bisogna stare a casa. Non ne usciremo mai, di questo passo!"

Savino fissò il piatto e fu, ancora una volta, estremamente grato del fatto che i suoi non avessero mai scoperto il suo tentativo di recarsi al Quarantena Party.

Ti prego, fa' che non ricominci la solita pappardella sul senso civico degli italiani, pensò. Ma dobbiamo proprio mangiare con il televisore acceso ogni volta?

"Qua in Italia fare qualcosa per il bene della comunità non è proprio contemplato," commentò suo padre. "Manca il senso civico."

Gli occhi di Savino rotearono verso il soffitto. Cecilia se ne accorse e ridacchiò dietro una mano.

"Poi, questi furbetti che vanno a correre tre ore al giorno li voglio vedere, guarda, alla fine della quarantena," rincarò la mamma, raschiando gli ultimi cannolicchi dal fondo del piatto. "Li voglio vedere proprio. O si alzano tutti i giorni alle cinque del mattino per correre la maratona, o vuol dire che tutta questa passione per il podismo era fasulla."

Savino alzò la testa dal piatto. "A ma', scusa, eh," sbottò, spazientito, "ma ti pare che se ci sono ventimila morti è colpa di qualche poveraccio che non ce la fa più a stare chiuso in casa e va a correre? Quanto mai potranno spargere il virus, se vanno a correre da soli, all'aperto? Pure se stanno in giro un po' più del normale, pure se vanno a più di duecento metri da casa: che cambia?"

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