Capitolo 1

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Le luci del locale quella sera sembravano più accecanti del solito, mentre ciondolavo tra un ammasso di gente in visibilio e arrancavo pur di non lasciare che quel senso di confusione che faceva roteare la stanza ai miei occhi avesse la meglio sul mio equilibrio.
Non mi sembrava di aver esagerato con l'alcol, ma mi accorsi solo in quell'istante di ricordare immagini del mio bicchiere pieno di liquidi di almeno cinque colori diversi, il che mi fece volgere un pensiero al mio povero portafogli e alla mia ossessiva tirchieria.
Risparmiavo soldi prendendo abiti di seconda mano e cibo rigorosamente sottomarca per poi trafugarmi d'alcol all'ennesima delusione. Con trenta euro riuscivo quasi a farmi la spesa per una settimana e a comprarmi circa una quindicina di capi d'abbigliamento, dipende da cosa offriva il mercato del giovedì.
E quella sera, invece, cosa avrei guadagnato? Vertigini, vomito e un invitabile mal di testa il mattino dopo, sempre che la fiatella post sbocco non riuscisse ad uccidermi quella notte stessa.
Pessimo come affare, stavo perdendo colpi.
Andai dritta al tavolo in cui era seduta Becca e non provai nemmeno a nascondere tutta la non-voglia che mi si leggeva in faccia. Non volevo stare lì e mi ero già fatta coinvolgere abbastanza per i miei standard, avevo bisogno di due settimane segregata in casa per riprendermi da una serata simile.
La mia migliore amica stranamente sembrò interpretare il mio comportamento e dieci minuti dopo ci trovavamo già sulla via del ritorno.
<<Beh, com'è andata? Che ridere quando Ian ha rovesciato il vassoio, quel povero mojito è arrivato fin sulle scarpe della tipa in pista. La faccia che ha fatto dopo è stata fantastica, se l'è presa sul personale. Insomma amo, fossi in te lo ringrazierei per averti dato un motivo valido per buttare via quello scempio di scarpe. Che poi non credo ci fossi quando Fra ha urlato a quel tipo col cappello verde, sai...>> smisi di ascoltarla, mi concentrai sulla strada per evitare di imbrattarle il vetro con l'acido che mi sentivo salire ad ogni dosso e mi ritrovai a pregare che casa fosse vicina.
Non conoscevo quella strada e tantomeno il locale di quella sera. Non ero mai stata tentata di provare l'ebbrezza della discoteca, dopo i vari aneddoti di Becca, la storia dell' "andare a ballare" non mi convinceva più.
Sapevo fosse ormai un punto di ritrovo tra single in cerca di divertimento, maniaci, pedofili e mononucleosi, sicuramente non un posto in cui si va per ballare, e le storie di una notte non avevano mai fatto per me.
Quella sera era stata un'eccezione, che confermò però ogni mia aspettativa. Avevo dovuto bere per riuscire a sopportare di stare in mezzo ad arrapati sudati trappettari e le avance del tizio che aveva provato ad allungare le mani erano proprio la ciliegina sulla torta dei motivi per cui non tornarci mai più.
Quando il rumore del motore della macchina cessò, la mia amica aveva ormai smesso di parlare e aveva preso a canticchiare un motivetto a voce bassa.
<<Che bella serata cavolo, vedi che dovresti uscire più spesso? Ti divertiresti>>
No, assolutamente no.
<<Mh mh>> mormorai mentre scendevo dall'auto.
<<Grazie del passaggio Becca, scrivimi quando sei a casa>>
<<Non c'è di che, ci sentiamo!>> e ripartì.
La testa girava ancora, ma se non altro la nausea era passata e, impegnandomi, non impiegai più di mezzo minuto a riuscire ad infilare la chiave nella serratura della porta del condominio.
Salii su per le scale facendo più silenzio possibile per non svegliare gli anziani del piano di sotto e, arrivata al secondo piano, riuscii ad entrare senza problemi nella mia dimora.
I panni sparpagliati sul tavolo e sul tappeto mi ricordarono che ero finalmente a casa e potevo ricominciare a respirare normalmente senza dovermi preoccupare di come apparisse la mia silhouette di profilo.
L'ansia degli occhi altrui ora non aveva più importanza e l'incantesimo alla Cenerentola stava per scadere.
Mi struccai, mi misi la maglia 6XL che usavo come pigiama e mi misi nel letto insieme ad una copia dell'ennesimo romanzo rosa che aveva catturato il mio sguardo in libreria, finché le palpebre non si fecero troppo pesanti da concedermi giusto il tempo di posare il libro e spegnere l'abat-jour prima di cadere tra le braccia di Morfeo.

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