Capitolo tre: Una fortuna sfacciata

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Goccia stava dormendo acciambellato su una sedia del tavolo della sala, il pendolo dondolava, il ticchettio dava ritmo al silenzio della casa, e l'odore di pulito e fresco della casa della nonna, che era sempre piaciuto ad Asia e Greta, profumava di lavanda.
Le due sorelle avevano passato molto tempo in quella casa, quando entrambi i genitori erano al lavoro era a sempre stata nonna Luisa ad occuparsi delle nipoti.

Piccola, un po' curva, con le gambe tremolanti, la vecchia aveva sempre fatto il possibile per aiutare il suo unico figlio Secondo. Era rimasta vedova in giovane età ma non aveva mai dimenticato il marito. In una bella cornice d'argento, che Luisa lucidava ogni settimana, c'era la foto dell'uomo con indosso l'uniforme che portava durante il servizio militare. In quel periodo Luisa ed Ermanno si erano conosciuti e innamorati, per questo la vecchia era affezionata a quella foto.
Vicino alla cornice c'erano: due candele del'Ikea, che venivano accese due volte al giorno, a pranzo a cena; un cornetto rosso napoletano, regalo di sua sorella Ornella; un paio di caramelle all'anice, che venivano cambiate ogni domenica; un foglietto piegato in quattro, una poesia che Luisa aveva scritto per il suo amato Ermanno.
Come mai tutto questo?
Luisa parlava con i morti. Non proprio con tutti i morti, ma con il suo caro marito sì.
Più volte aveva trovato oggetti in giro per casa, fuori dal loro posto, senza darsi una spiegazione logica. Anche Asia e Greta li avevano visti: una volta un paio di orecchini della nonna erano finiti sul divano, un'altra una mela era finita proprio di fronte alla camera da letto. Insomma, in quella casa succedevano un sacco di cose bizzarre e secondo Luisa era il suo amato a mandarle messaggi.

Quella mattina, come tutte le altre, Luisa si stiracchiava nel letto pronta ad iniziare una nuova giornata. Come tutti i vecchi Luisa era una donna abitudinaria: su una sedia vicino al letto appoggiava sempre un golfino, per evitare di prendere freddo appena sveglia; le pantofole imbottite di pelo erano parcheggiate sotto la stessa sedia e sul comodino troneggiavano i suoi occhiali - la nonna Luisa, senza gli occhiali da vista non vedeva ad un palmo dal naso.

Quella mattina Luisa si stiracchiava nel letto forse con un po' troppa energia.

Un braccio, troppo teso, colpì l'abat-jour sul comodino senza che la vecchia se ne accorgesse.
L'abat-jour si rovesciò rotolando brevemente, finendo contro una vetrinetta lunga e stretta lì di fianco.

Luisa si alzò come se niente fosse, infilò il suo golfino e le pantofole di pelo pronta ad iniziare una nuova giornata.

In cima alla vetrinetta lunga e stretta c'era un globo, di quelli con la neve finta che scende. Il globo cadde in un cestino pieno di cartacce.
Il globo vorticò rapidamente dentro al cestino, facendolo rovesciare. Il globo continuò a rotolare.

Luisa sollevò le persiane in salotto per fare entrare la luce del mattino, poi si affacciò alla finestra spalancata, per respirare a pieni polmoni quella bella aria fresca. Era maggio, un maggio stupendo: le piante fiorite, la chiara luce, il lieve tepore, erano corroboranti.

Il globo rotolò verso il soggiorno, con una certa velocitá, finì con lo schiantarsi contro una sedia del soggiorno.
Su quella sedia dormiva Goccia che, spaventato a morte da quella botta improvvisa, saltò in alto con gli artigli ben in vista.

Luisa chiuse la finestra appena in tempo, il salto di Goccia era proprio nella sua direzione.
3...
2...
I suoi artigli si stavano per conficcare nella schiena della vecchia.
1...
Luisa chiuse la finestra e il gatto si stampò sul vetro. Sbam.
0...
Un Miao tremolante si levò dal gatto finito a terra semi svenuto.

"Che bella giornata" disse Luisa pronta a fare una ricca colazione, quando notò il globo con la neve proprio ai suoi piedi. Lo prese e lo osservò con attenzione: "Ermanuccio mio vuoi dirmi che hai caldo? Vuoi il fresco? Credo sia il caso di metterti vicino alla finestra".
E fu così che la cornice d'argento, le candele Ikea, il cornetto rosso e la poesia finirono sul mobiletto di fronte alla finestra dove d'estate c'era sempre più fresco.

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"Secondo respira..." Nicoletta scuoteva il marito "Oggi nominano solo il nuovo capo ufficio, sai benissimo che sei tra i favoriti".
"SOLO?! È tutta la vita che voglio quel posto e adesso che l'ingegner Paoletti è andato in pensione non posso perdere l'occasione... Chissà quando mi ricapiterà. Ho quasi sessant'anni! Sono finito..." L'uomo si guardava nel grande specchio della camera da letto, teneva il fiato cercando di nascondere la pancetta che ormai da più di un decennio lo perseguitava.
"Tesoro, ma se hai quarantanove anni. Ne mancano più di dieci per arrivare a sessanta!" Nicoletta cercava di far indossare la giacca al marito.
Ma Secondo non sentiva scuse, si sentiva vecchio, fuori forma ed era terribilmente spaventato per il nuovo incarico.

Secondo progettava accendini, si era laureato proprio a Bologna da ragazzo e da allora il suo lavoro consisteva nel testare/progettare/inventare nuovi accendini. Il posto dell'ingegner Paoletti lo desiderava fin dal primo giorno che aveva messo piede in ufficio: la scrivania di mogano lucida, il computer a schermo piatto di ultima generazione, un bagno personale ed una segretaria efficientissima era tutto quel che desiderava.
Secondo adorava il suo lavoro e l'idea di poter gestire l'intero ufficio lo faceva stare bene. L'unica cosa che proprio non sopportava era Montini, suo acerrimo nemico.
Montini con la sua folta chioma bionda (una massa morbida, invidiati da tutti gli uomini, e anche qualche donna, del terzo piano).
Montini con il suo sorriso smagliante (bianco, abbagliante e splendente).
Montini con il suo macchinone (una BMW nera, lucida e potente, regalo della moglie danarosa).
Montini con i suoi scagnozzi (quelli dell'ufficio vendite, abbronzati omuncoli con la parlantina facile).
Lui, Secondo, con gli occhiali sempre sul naso, pronto a inventare, un genio all'avanguardia nel progettare accendini, quel Montini, Alfonso Montini, proprio non lo sopportava. Ma appena sarebbe diventato capo ufficio quel Montini l'avrebbe pagata.

"Papà. Papà, sbrigati che facciamo tardi" Asia batteva il piede nervosa.
Secondo e Asia uscivano sempre insieme la mattina, lavoravano vicini, quindi il padre dava sempre un passaggio alla figlia. Il centro estetica Raggio di luna era a meno di duecento metri dalla azienda di accendini.
"Un attimo, ho fatto" Secondo indossò la giacca deciso e carico come mai. Per una volta non voleva essere secondo, non solo di nome ma di fatto, come sempre gli capitava.

Quel giorno Secondo voleva essere il primo.

Sua mamma Luisa gli aveva sempre detto di guardare i segnali che la vita gli offriva per capire come sarebbero andate le cose: quel giorno il sole splendeva alto, sua moglie era più bella che mai, il completo blu, comprato per l'occasione, gli stava una meraviglia... Nulla poteva andare storto.

"Eccomi sono pronto" disse con una fierezza che mai era appartenuta all'uomo, "Andiamo tesoro" disse ad Asia prendendola sottobraccio e trascinandola con baldanzosa energia verso l'uscio.
A Secondo nulla era mai apparso bello come quel giorno, neanche la vecchia utilitaria impolverata parcheggiata sotto casa. Per strada non c'era traffico, tutti i semafori erano verdi, trovò parcheggio immediatamente: la vita non era mai stata così bella.
Asia guardava il padre un dubbiosa "Tutto bene papà? Sei strano oggi".
"Macché strano, questo sono il mio nuovo IO" e sparò un sorriso gigante, tanto che la figlia sussultò "Se lo dici tu papá" Asia preferì ignorarlo e controllare il trucco nello specchietto passeggeri per poi scendere per andare al lavoro.

Quando Secondo arrivò in azienda, tutti e due gli ascensori erano vuoti e sembravano lì ad aspettarlo. Fischiettando schiacciò il numero tre, terzo piano, dove c'era il suo vecchio ufficio e l'aspettava il nuovo lavoro.
Le porte si aprirono, delle risate lo investirono, dei denti bianchi, abbaglianti e splendenti lo accolsero. Montini era lì con un calice di prosecco in mano: "Per fortuna sei arrivato Secondo, vieni, festeggia con noi".
Tutto il reparto beveva soddisfatto, alzava i bicchieri verso il nuovo capo, verso una nuova vita.
Secondo era raggiante, buttò la borsa per terra, prese con vigore un calice di prosecco e ad alta voce disse: "Al nuovo capo ufficio".
"A Montini, il nuovo capo ufficio" risposero in coro gli impiegati.

Dopo un secondo, Secondo svenne.

Detesto la mia adorata famiglia (Temporaneamente Sospeso)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora