XXXIII

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«Oh Vic ti prego, smettila di lamentarti! Almeno tu sai quando è il tuo volo.» roteai gli occhi.

«Non sono stato io ad aver avuto questa geniale idea e in realtà non so neanche perché tu mi abbia trascinato qui con te! Mi sono trasferito a New York per un motivo.»

«Beh, perché ho un estremo bisogno del mio manager preferito, ovviamente!» gli diedi una spallata affettuosa, mi superava di parecchi centimetri, ricambiò stringendomi con un braccio e sbuffando leggermente.

Andò verso il suo gate e lo accompagnai, avrei avuto ancora chissà quante ore di attesa per il mio volo. Afferrò le sue borse prima di imbarcarsi e si avvicinò per un ultimo saluto.

«È davvero necessario? Possiamo ancora tornare in hotel. Siamo troppo vicini alla data d'uscita dell'album, ci sono mille cose da fare.»

«Lo so, ma sai quanto ho bisogno di lui, mi manca e-e poi non riesco neanche a lavorare come si deve... lo vedi anche tu che sono sempre distratta. Dammi una settimana e torniamo in sella, promesso!»

«Okay lovey-dovey girl! Fammi sapere quando sei arrivata, mi raccomando!»

«Certo!»

L'idea si era insinuata nei miei pensieri quella stessa mattina, mentre registravo ripetutamente il bridge per Falling In Love Wasn't My Plan. La canzone che rappresentava me e Michael più di ogni altra, che avevamo composto a quattro mani e due cuori. Con la cui melodia avrei potuto dipingere l'unione delle nostre anime. E non avrei mai potuto aspettare altro tempo prima di ricongiungermi alla sua. Avvertii Victor mentre buttavo in fretta e furia tutti i miei vestiti in una valigia; non appena alzò la cornetta, sbottai: "Torno a casa, vieni con me?". Rispose solo: "Sei completamente impazzita?".

Placai il suo dubbio con un e gli diedi appuntamento al JFK Airport mezz'ora più tardi. Poco dopo la partenza per Los Angeles di Victor feci uno squillo a Bill da un telefono pubblico, chiesi gentilmente a lui e Bob se avessero potuto venirmi a prendere all'aeroporto di Santa Ynez, ad appena venti minuti da Neverland. Mi rispose che non ci sarebbe stato nessun problema, Michael era fuori per una cena di lavoro e aveva preso la sua macchina.

«Da quando Michael prende la sua Mercedes per andare alle cene di lavoro? E perché è uscito senza la sicurezza?» domandai con non poca titubanza.

"Non ne ho idea Miss Willick, io faccio solo il mio lavoro."

«Hai ragione Bill, scusami e... grazie, ci vediamo dopo!»

Lo congedai non prima di avergli comunicato tutte le informazioni sul mio volo, che sarebbe stato dopo un'ora scarsa, finalmente. Il mio stomaco brontolava già da un po' e decisi di fermarmi per un veloce sandwich in una tavola calda, prima di accodarmi al mio gate.

Feci un sonnellino per la maggior parte del viaggio e una volta risvegliata ordinai un calice di vino bianco. Mi godei il restante tempo ammirando l'oscuro cielo Californiano, accompagnato dalle sue migliaia di luci. Non appena scesa dall'aereo mi affrettai verso l'uscita per raggiungere l'auto che mi aspettava già da tempo, fu facile trovarla una volta arrivata al parcheggio.

«Bill, sei davvero sicuro che Michael stia bene? Sai, ci ho pensato in aereo e-»

«Miss Willick, Cloe, qui in California sono le tre passate, il Signor Jackson è rientrato da ben due ore, stai tranquilla.» a quel punto rilasciai la tensione e strinsi Bill in un breve abbraccio, poi lasciai che mi aiutasse a caricare la valigia in auto e montai sul sedile posteriore. Il viaggio sembrò infinito, così poca distanza mi separava dal mio fidanzato; eppure, quei pochi minuti non scorrevano mai.

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