'New York, New York
È una scommessa d'amore
Tu chiamami e ti vestirò
Come una stella di Broadway'Era stata rifiutata. Di nuovo.
Altre dodici notti passate in bianco a bere caffè sprecate per cosa? Un rifiuto.
Non un 'ci penseremo' oppure un 'forse'. Un no secco, veloce. Non si erano nemmeno voluti mostrare minimamente impietositi dalla sua immagine decisamente distrutta. Aveva delle occhiaie profonde, l’azzurro delle sue iridi velato, come se fosse cieco, le rughe d’espressione decisamente fuori posto in un viso così giovane e che era stato un tempo pieno di vita. Un tempo.
Quando tutto sembrava andare bene.
Quando tutto quello che costruiva o raggiungeva non gli si distruggeva tra le mani.
Quando era tutto più semplice. E forse sua madre infondo aveva ragione. New York era decisamente un passo più lungo della gamba.Trovava strana e allo stesso tempo curiosa la precarietà dell’essere e della semplice esistenza dell’uomo. Ora hai tutto, tra pochi istanti potresti non avere nulla. Ora sei vivo, chissà per quanto tempo ancora. È tutto terribilmente sospeso ad un filo che potrebbe spezzarsi da un momento all’altro. Ieri eri l’uomo di punta citato in tutti gli articoli che veneravano e definivano la 'Austin Corporation' come 'il tempio della finanza' ed oggi sei stato cacciato fuori da una sala conferenza gremita di pezzi grossi.
“Buongiorno” disse salutando Darcy, la gentile cameriera del cafè in cui andava subito dopo una riunione.
“Caffè e dolce alla cannella come sempre, giusto caro?”
“Corretto. Come sempre”
“Niente latte, eh?” intuì la donna. Quello solo quando andava tutto bene. Si doveva notare da qualche miglio che non aveva assolutamente una bella cera.
“Direi proprio di no”
Andò a sedersi. Sceglieva sempre lo stesso posto. Quello dimenticato da tutti, troppo lontano per socializzare e provare un minimo senso di inclusione a lui tanto estraneo, quello all’angolino che al massimo sarebbe potuto essere occupato in un film. Era sicuro che lì sarebbe potuta nascere qualche grande storia. Harry Potter per esempio oppure una semplicissima storia d’amore se solo qualcuno si fosse voltato a guardare quello nell’angolino, in fondo, da solo, col naso rosso, l’aria stanca ed un caffè sempre troppo amaro.
Questa volta però, sembrava davvero che qualcuno si stesse divertendo a giocare con il suo filo del destino. Quella mattina trovò quel posto stranamente e meravigliosamente occupato.
Ed è strano quando ti succede. Di provare due sensazioni contrastanti così fastidiosamente potenti da essere ignorate. Perchè ti capita che il tuo filo riceva uno scossone così brusco che senti quasi che si stia per spezzare, che ci sei quasi, ma poi si aggrappa ad un altro filo che si muoveva con il tuo e fa paura perchè, accidenti, un nodo, un legame, non era previsto. Ma allo stesso tempo percepisci un calore che ti irradia dentro e fa sorridere e rimanere immobile a fissare un grazioso sconosciuto seduto al tuo solito tavolo. E, cavolo, ha rubato il tuo posto, quello da cui osservavi la gente intorno, leggevi i soliti noiosi articoli di finanza sul 'Times' e ascoltavi rapito la musica di un pianoforte dagli auricolari ma, allo stesso tempo inizi ad esserne così incuriosito, rapito, perchè magari è un caso che sia lì ma magari no, magari è come te.“C’è qualche problema?” sentì una voce chiedere. Forse sì. Perchè dovrebbe essercene uno?
“Cosa?” si riscosse.
“Chiedevo se c’è qualcosa che non va, ti...ehm, l’ho vista fermarsi e osservarmi”
Ecco, l’aveva notato. Chissà quanto doveva apparire ridicolo e assurdamente imbarazzato in quel momento.
“No, scusami. È che mi ci siedo sempre io in quel posto quindi, solo, ero stupito. Lo ignorano tutti”
“Io invece adoro stare qui fondo. Mi rende estremamente tranquillo e poi, si sa, tutte le grandi storie nascono nell’angolo spoglio di un bar” disse ammiccando.
Era vero, quel posticino era decisamente più spoglio e quasi triste rispetto al resto del bar che, attraverso i mobili bianchi, le pareti beige e delle vecchie foto di famiglia emanava luce e quel famigliare sapore di casa. Lì invece sembrava si fossero dimenticati di proseguire con i decori. Non c’era assolutamente nulla se non quel tavolino con due sedie.
“Comunque, se vuoi mi alzo. Posso continuare a leggere e guardare la finestra anche lì” continuò indicando un posto più avanti.
Esitò qualche secondo e proprio quando stava per dire che non sarebbe stato un problema per lui spostarsi, arrivò Darcy che poggiò il vassoio sul tavolino.
“Ecco a te, tesoro” e si allontanò.
“Oppure se vuoi potremmo condividere” suggerì.
“Assolutamente” e si accomodò.
“Comunque io sono Harry” gli tese la mano il ragazzo.
“Louis” rispose timidamente. Era un cavolo di uomo d’affari che aveva a che fare ogni giorno con decine e decine di uomini di nazionalità diverse. Eppure, davanti ad un ragazzo dagli occhi più verdi del campo su cui giocava a calcio da ragazzino -era davvero pessimo nelle descrizioni e di certo la grande storia non avrebbe mai potuta scriverla lui- si imbarazzava.
“Cosa stai leggendo?”
“Poesie. William Blake”
“È il mio preferito”
“Davvero? Non sembri tipo da poesie” rispose il ragazzo sorridendogli timidamente e sfoggiando le sue profonde fossette.
“Perchè?”
“Sembri uno di quei tipi troppo convinti di sè stessi per mettersi in discussione leggendo poesie” rispose onestamente. Forse era stato troppo duro ma, insomma, era più forte di lui.
“Mmh, forse. O forse proprio per questo leggo poesie. Sai, mettersi in discussione, dubitare delle proprie capacità, essere insicuri. Questo genere di roba” e gli avvicinò una parte del suo dolce alla cannella. Era qualcosa di decisamente famigliare e troppo intimo, lui nemmeno sapeva se gli piaceva la cannella.
“Grazie. Avvocato?”
“Di niente. Una specie. Tu un filosofo per caso?” chiese sarcasticamente.
“Una specie” sorrise.
“In che senso?”
“In che senso tu”
“Rispondi sempre ad una domanda con un’altra domanda?”
“Non è stata una bella giornata vero?” lo ignorò.
“Dipende cosa intendi per bella giornata” gli sorrise. Era strano come fosse facile parlare con quello sconosciuto.
“Pari ad un Jacob Kowalski?” ammiccò. Cavolo, sapeva avrebbe capito.
“Già, solo internamente alla banca e non in una banca. E tu come hai fatto a capirlo?”
“Valigetta, documenti che sbucano fuori perchè gettati in fretta, aria incazzata e caffè. Cazzo, sei inglese e bevi caffè. Un oltraggio” e leccò le labbra appiccicose della glassa sul dolce.
“Effettivamente. E come sapevi avrei capito il riferimento ad ‘Animali Fantastici’?”
“Sei uno che si siede all’angolo. È il minimo”
“Ed il fatto che fossi inglese?”
“Fai sempre cosi tante domande tu?”
Era davvero un bel tipo. Magari la storia la scriveva davvero, alla fine.
Continuarono a mangiucchiare il dolce alla cannella per un po’ fino a quando Harry non riprese la parola.
“Ci vieni spesso qui?” chiese incuriosito.
“Solo dopo ogni riunione” rispose sistemandosi i capelli alla bell’e meglio e con la mano decisamente sbagliata. Ci mancava solo la glassa. “Tu invece? Non ti ho mai visto”
“Non sono uno che si fa notare”
STAI LEGGENDO
La nuova stella di Broadway
Fanfiction'Lui era un businessman con un'idea in testa Lei ballerina di jazz Leggeva William Blake vicino a una finestra Lui beveva caffè Guardando quelle gambe muoversi pensò: "È una stella!" Pensava a Fred Astaire...'