𝟏𝟏. 𝐈𝐭'𝐬 𝐫𝐢𝐠𝐡𝐭 𝐭𝐡𝐚𝐭 𝐲𝐨𝐮 𝐩𝐫𝐨𝐭𝐞𝐜𝐭 𝐡𝐞𝐫

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𝐃𝐞𝐥𝐢𝐥𝐚𝐡'𝐬 𝐩𝐨𝐯

Non riuscivo a smettere di sorridere.
Ero estremamente orgogliosa di come le foto per la mia cliente erano venute fuori.
Ci avevo lavorato a lungo e vederle lì, pronte alla consegna, mi riempiva il cuore di gioia.

Eloise—era il nome della mia cliente.
Aveva scelto me per scattarle delle foto durante il parto, in casa, aveva optato per un parto naturale in acqua e credo sia stata – anzi, senza alcun dubbio lo è stata – una delle esperienze più magiche ed emozionanti di tutta la mia vita.
Era stato un onore per me, e ritrovarmi davanti l'intero lavoro completo mi stava facendo rivivere tutte quelle emozioni una per una.
Non avevo ancora lasciato la camera oscura, i miei occhi lucidi non riuscivano a smettere di guardare quelle foto—erano meravigliose.

Quando finalmente riuscii a ricompormi, infilai tutte le foto nell'apposita confezione, la infilai nella borsa ed uscii dallo studio incamminandomi verso il negozio di Harry.
Avevo in programma di passare da Eloise per consegnarle le foto, pensai che dei fiori sarebbero stati di suo gradimento, e poi – inutile mentire – avevo voglia di rivedere Harry.

La verità è che la sua capacità di starmi accanto, di comprendermi e sollevarmi in uno dei momenti più bassi dell'ultimo periodo, mi aveva colpita.
Mi aveva colpita perché nessuno ci era mai riuscito prima, con nessuno ero realmente mai riuscita a parlare di Eric, neppure con me stessa e mi aveva fatto bene.
Gli ero grata ed ero anche consapevole di aver bisogno di lui—ma non si trattava di questo.
Per quanto ne fossi terrorizzata, io volevo che Harry fosse parte della mia vita, era passata una settimana dal mio crollo e non lo avevo sentito, né visto, ma avevo realizzato quanto – senza che neppure me ne rendessi conto – fosse diventato importante per me.
Quindi avrei provato, con tutta me stessa, a mettere da parte le mie paure e lasciarlo entrare, in qualunque modo avesse voluto.
Era un buon amico, una presenza che mi faceva star bene, non avrei permesso al mio passato di strapparmi forse l'unica opportunità di cominciare a rinascere.

Presa dai miei pensieri, quasi non mi resi conto di aver raggiunto la mia destinazione, ma sorrisi tra me e me quando vidi l'insegna You Flower, You Feast apparire davanti ai miei occhi.
Allungai una mano verso la maniglia, ma mi fermai quando vidi il cartello aperto trasformarsi in chiuso.
D'istinto corrugai appena la fronte e feci un passo indietro, ma quando sollevai lo sguardo incontrando quello del riccio dall'altra parte del vetro, il sorriso sulle mie labbra si riaccese e la porta davanti a me si aprí

«perdonami, non ti avevo vista, stavo andando in pausa» ridacchiò
«come stai? Vieni, entra» aggiunse poi facendosi da parte per lasciarmi entrare, così lo seguii dentro

«sto bene» sorrisi chiudendo la porta alle mie spalle
«tu come stai? Scusa se ti disturbo durante la tua pausa pranzo» aggiunsi poi scuotendo leggermente la testa

«tutto okay. E, oh no—non è affatto un problema» mi rassicurò
«ho dei sandwich pronti per il pranzo sul retro, se ti va di unirti a me...» propose facendo spallucce, due fossette apparvero a contornare le sue labbra e rimasi ad ammirarlo per qualche istante, poi annuii silenziosa

«okay, grazie» quasi sussurrai seguendolo verso il retro del negozio.
Era piccolo, ma estremamente curato seppur non visibile alla clientela.
C'era un divanetto marrone e mensole colme di fiori tutt'intorno, una grande finestra sul soffitto illuminava l'intera stanza

«amo questo posto» ammisi sorridente guardandomi attorno
«è letteralmente il paradiso dei fiori» mi lasciai sfuggire una risatina accomodandomi accanto a lui sul divanetto

«diciamo che ho particolare attenzione per i dettagli» confessò afferrando un sacchetto di carta, ne tirò fuori un paio di sandwich e me ne porse uno
«crema di ceci e avocado con rucola e olive, non è il più semplice dei sandwich, ma spero vada bene» ridacchiò

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