La morte di Patroclo

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Sudore, eccitazione, grida di gioia e di dolore. Polvere, nitriti di cavalli impazziti e l'odore ferroso del sangue. Questo percepisce Ettore nel mezzo della battaglia, che da anni ormai andava avanti, ma era sempre nuova e sempre più orrenda. Ma più di tutto, vede il cadavere che gli giace di fronte. Il cadavere di un uomo bellissimo, ancora giovane e dalle membra forti, non del tutto coperto dalla polvere. Un uomo così non si vede tutti i giorni. Era un eroe, coraggioso e impavido, si era buttato nella mischia senza paura e aveva massacrato decine di uomini. Gli uomini di Ettore. Ora quegli occhi nocciola erano privi di vita. Come la pelle olivastra, che stava già assumendo il tipico colore grigio dei morti. La sua bellezza non gli aveva impedito di morire quando la lancia di Ettore lo aveva trafitto. Patroclo si chiamava, uno dei più grandi amici di Achille, forse suo amante. Non che facesse alcuna differenza, anzi, odiava il guerriero mirmidone tanto da desiderare di ferirlo il più possibile con qualsiasi mezzo, e uccidere le persone a lui care era un buon inizio. Lo spogliò delle armi e tornò a combattere, più fiero e glorioso che mai.

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Un piccolo gruppo di uomini si stava avvicinando alla tenda del figlio di Peleo. Achille uscì e si preparò ad accoglierli. Li aspettava. Stavano venendo a implorare pietà, a riportargli l'onore che gli era dovuto. Sapeva che avevano recuperato buona parte del terreno solo grazie all'intervento di Patroclo, e avrebbero fatto qualunque cosa per riaverlo fra le schiere dei Danai. Cercò con gli occhi il suo amato nel gruppo. Non lo vide, ma non si stupiva, Patroclo non era molto alto in confronto a Ulisse o Aiace. Piano piano si accorse della sagoma in braccio a Menelao. Era morto qualcuno? E perché lo portavano da lui e non alle donne che si occupavano di lavare e preparare i corpi per il funerale? Continuò a cercare Patroclo. Ora erano molto vicini, riusciva a vedere le facce sconvolte e le ferite dei guerrieri. Non vide il suo amato. Non capiva. Adesso il gruppo era davanti alla tenda di Achille, ma nessuno disse nulla. Semplicemente Menelao pose delicatamente il morto avvolto in un mantello davanti all'eroe. Mentre compiva quel gesto, il manto che lo ricopriva si scostò dal suo viso. E Achille vide. E Achille vide gli occhi ancora aperti di colui che più amava al mondo, spenti. Vide i suoi capelli impolverati, il suo viso schizzato di rosso. Vide quel collo che spesso aveva baciato, squarciato. Achille fissò Patroclo e questi, per la prima volta, non ricambiò lo sguardo. La vita gli passò davanti. Non ricordava più nulla, la sua mente era diventata un suono, "Patroclo", che si ripeteva all'infinito. Ci fu un attimo di silenzio completo in cui tutto si fermò. Fu come il momento che viene prima che un'onda gigantesca si abbatta sui campi distruggendo tutto quello che incontra, un attimo surreale e perfetto. Poi, come il rombo di un tuono e anche più forte, riecheggiò il suo grido. Urlò. Urlò sperando che in quell'urlo il mondo gli si sgretolasse sotto i piedi, sperando che la sua vita gli scivolasse fuori dal corpo per far smettere quel dolore che non riusciva a sopportare, sperando che bastasse quello per riavvolgere il tempo e tornare indietro. Gridò, e non vi era nulla di umano in lui. Gridò e persino gli Achei ebbero pietà dei troiani.  

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