Capitolo 3

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Quando arrivammo il bar era abbastanza pieno.
Il solito gruppo di ragazzi stava fuori dall'ingresso a fumare e un nuvolone di fumo ci avvolse quando gli passammo accanto.
Varcammo la porta del locale e non ci mettemmo molto a trovare Francesco ed Eva, che erano già seduti al tavolo.
<<Ehi Meg, che sorpresa! Non credevo venissi>>
Le rivolsi un cenno di saluto.
Eva, vent'anni, facoltà di medicina, era una ragazza carina ed affidabile, solitamente molto tranquilla.
Mi piaceva, era una delle poche persone che sopportavo.
Lei e Francesco si conoscevano dalle elementari, quando lui la difendeva dal solito galletto della classe.
Lui è così, è il migliore amico che tutti vorrebbero: è gentile, premuroso, farebbe di tutto pur di far star bene le persone a cui tiene.
Mi sorrise e ricambiai, mi piaceva passare del tempo con lui.
<<Vi devo troppo raccontare cosa mi è successo stamattina>> prese a parlare Becca.
<<Mesi fa è sparito un nano di ceramica dal nostro giardino. Era già rotto, quindi non ci abbiamo fatto molto caso. Ieri stavo controllando la cassetta della posta e trovo una busta completamente bianca.
La apro e dentro c'è una lettera che con allegata una foto del nano scomparso con scritto che ora sta bene, che se ne stanno prendendo cura, che ora è felice e la famiglia in cui vive se lo porta spesso in viaggio>>
La confusione si poteva leggere sulla faccia di ognuno di noi. Restammo per qualche secondo in silenzio finché Eva non scoppiò a ridere, contagiando anche tutti noi.
Poi di colpo si bloccò vedendo qualcosa dietro di me.
<<Madonna, vieni qui e fai di me ciò che vuoi>>
Mi girai e vidi una ragazza mora, più bassa di me, con un vestitino corto nero a pailettes, entrare nel bar seguita da una decina di altre persone.
Eva era lesbica e l'aveva capito quell'estate.
All'inizio ci aveva messo un po' ad abituarsi a dirlo senza vergognarsene, mentre ora faceva apprezzamenti a destra e manca senza preoccuparsi nemmeno che, con quel tono di voce, la persona in questione la potesse sentire.
In quel momento arrivò un ragazzo a prendere le nostre ordinazioni.
Fu curioso, non era il classico stereotipo del barista simpaticone di qualsiasi locale.
Arrivò da noi senza dire una parola, tenendo tra le mani un taccuino e una penna che lasciavano intuire quale fosse il suo ruolo lì.
Gli occhi verdi erano incupiti dall'ombra del ciuffo castano,  quattro nei gli decoravano il volto quasi simmetricamente: due erano sotto gli occhi e sue sopra le labbra.
Il cartellino appeso alla maglia indicava il nome di OLIVER, azzeccatissimo per il colore olivastro della sua carnagione.
<<Per me un angelo azzurro>> si fece avanti la mia amica.
<<A me fai un gin tonic e per lei un vodka lemon>> disse Fra ordinando anche il drink di Eva.
<<Per me un coca cola e Malibu>>
<<Perfetto, però sono obbligato a chiedervi i documenti>>
Che voce profonda.
I miei amici mostrarono le proprie carte d'identità e, quando arrivò il mio turno, mi accorsi di aver inavvertitamente lasciato il portafogli a casa.
In realtà lo dimenticavo spesso, per questo avevo imparato a tenermi qualche spicciolo nella cover del telefono, ma per i documenti non avevo scuse.
<<Ho dimenticato a casa la carta, ho diciannove anni>> dissi sperando chiudesse un occhio e mi credesse sulla parola.
<<Mi dispiace, non posso darti nulla senza vedere il documento>>
<<Andiamo, si vede che è maggiorenne. Sembra pure più grande della sua età>> si intromise Francesco.
<<Mi dispiace, sono le regole>>
Becca fissò lo sguardo su un punto indefinito del tavolo, iniziò a pensare e parve illuminarsi quando giunse ad una conclusione.
Come se potesse leggerle nella mente, il cameriere la anticipò:
<<È inutile che prendete due drink e provate a darne uno a lei>>
La mia amica si spense, delusa.
<<Fa niente, fammi un tè>>
<<Caldo con biscotti da inzuppare?>> sorrise beffardo lo stronzo.
Ritiro ciò che avevo pensato sullo stereotipo del barista simpaticone.
A quanto pare lo era.
Lo fissai negli occhi mentre il sorriso non accennava a voler lasciare le sue labbra, quindi distolsi lo sguardo e aspettai che se ne andasse.
Fu un altro ragazzo che lavorava lì a portarci le nostre ordinazioni, e facendo vagare lo sguardo individuai "Oliver" dietro al bancone.
La ragazza di prima era di fronte a lui e sembrava stesse ordinando.
Lui le sorrise e, dopo poco, le piazzò un bicchiere di mojito davanti.
Ah, a lei il documento non lo chiedeva.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Sep 16, 2021 ⏰

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