Lost

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Era estate la prima volta che la sognai. Precisamente era il 6 luglio 2004. Ricordo quella data come se l'avessi incisa sulla fronte e ogni persona che mi vede mi chiede cosa ho scritto e non c'è modo di dimenticarlo. Come se quel giorno fosse come il sangue che portavo in corpo, ti tiene in vita, ma può essere anche la causa della tua morte. I momenti di quella giornata si rincorrevano nella mia mente: uno arrivava si soffermava qualche secondo e subito un altro prendeva il suo posto, facendo in modo che il precedente non si tatuasse imperturbabile nella mia memoria. Dormivo e udivo il pianto di mia madre, vedevo le lacrime che uscivano a forza dagli occhi grigi di mio padre, mio padre che non avevo mai visto piangere. Vedevo gli abbracci, le persone che mi consolavano e alle quali facevo pietà. E io non capivo. Non capivo perché in camera mia ci fosse la prozia che veniva solo a Natale e si mangiava tutto il panettone, non capivo perché il vicino di casa che scambia il mio nome con qualunque altro non avesse una sola lettera in comune con il mio fosse nel mio salotto, scuro in volto. Li prendevo tutti per pazzi, anche nel sonno. Erano pazzi a credere che mia sorella mi avesse abbandonato senza neanche dire perché. Lei era là fuori e sarebbe entrata in casa da un momento all'altro con i suoi capelli viola, facendo sorridere tutti come sempre. In quei momenti li credevo stupidi e ingenui a credere che Emma non ci fosse più. Mi misi a sedere sul pavimento, bagnato anch'esso da lacrime amare, davanti alla porta d'ingresso per aspettarla e saltarle in braccio non appena avesse messo un piede in casa, prima che si fosse presa la ramanzina dai miei genitori. Rimasi in quella posizione per molto tempo. Prima per secondi. Poi i secondi divennero minuti, poi i minuti divennero ore e più passava il tempo più l'idea che Emma se ne fosse andata veramente si faceva strada a fatica nella mia mente bambina. I sogni arrivarono anche quella notte, come ogni notte, ma furono interrotti improvvisamente dai singhiozzi strozzati della mamma. Mio padre le ripeteva mentre piangeva che ormai se n'era andata, andata in un posto migliore. Ma qual era questo posto migliore ? L' Inghilterra? I caraibi? L'Isola che non c'è? Ormai sveglia, osservavo il soffitto celeste con gli occhi spalancati, aspettando il sonno che non sarebbe tornato per un po'. Spostai lo sguardo alla finestra ed era lì. Emma. Scesi velocemente dal letto e mi diressi alla finestra. Era proprio lei, ma era fuori dal vetro, come se stesse bene al fresco della notte estiva e non volesse entrare nella torrida casa. La aprii per invitarla ad entrare, ma lei non si mosse. – Emma, dicono tutti che te ne sei andata, ma sono degli sciocchi. Anche la mamma. Anche il babbo. Solo una bambina è capace di capire la verità oggi- le dissi, ma non parlò. – sai per un attimo ho pensato che tu fossi morta. Ma ti sei solo trasferita, vero? Credo che però 16 anni siano molto pochi per vivere da soli. Non capisco però come questo possa turbare la prozia Camilla. A meno che non fosse qui per il panettone. No, è luglio. Neanche lei è così andata per confondere luglio e dicembre- continuai e anche quella volta non ebbi nessun commento. – Non dovresti però far stare così male la mamma. Non è una cosa carina. No aspetta forse per me è un bene. Credi che per far contenta la sua unica figlia che vive con lei, mi comprerebbe quella bambola che mi piace tanto? Lo so che è costosa, ma andiamo... ha anche il secondo vestitino in omaggio! Mi porti però a far vedere casa tua? Sai, ho bisogno di un nuovo posto dove nascondere le caramelle alla fragola visto che la mamma ha trovato il nascondiglio sotto il letto, e quello dietro il pupazzo grande e anche quello sotto il cuscino. Non vuoi proprio entrare? – nessun commento. – va bene, sorellina. Io torno a letto. ' notte – e mi addormentai all'instante.

La mattina mi svegliai e ogni parola di quel colloquio avuto la notte mi si era incisa nella mente, così profondamente che le ricordo ancora oggi, una a una. La mattina mi svegliai con una luce diversa. Erano più o meno dovevano essere le 10. mia arrabbiai tantissimo con la mamma perché non mi aveva svegliato in tempo per andare a scuola. A quel tempo amavo andare a scuola. La mamma aveva gli occhi gonfi, come quando tagliava la cipolla, ma per rendere quegli occhi così gonfi ci sarebbero volute almeno millemiliardi di cipolle. Si, ricordo che pensai proprio così. Ma io avevo ciò che poteva tirarla su di morale, o almeno sgonfiarle gli occhi perché così era proprio brutta. – Mamma non devi stare male, ho parlato con Emma, non se n'è andata, si è solo trasferita-la informai. Lei mi guardò con uno sguardo acquoso, sguardo che le vidi da allora in poi finché visse. Allora non compresi quello sguardo, ma quello sguardo era il segno profondo e doloroso che è creato dalla morte di un figlio soprattutto, ma da qualsiasi persona cara. Mi prese per mano e cercò di spiegarmi che l'incidente era stato fatale, che non c'era più niente da fare e soprattutto che non l'aveva fatto apposta. Mentre pronunciava quelle piangeva e singhiozzava, singhiozzava e piangeva. Non la interruppi per non sembrare scortese, ma non le credevo neanche un po'. Io avevo visto Emma quella notte, le avevo parlato e l'avevo percepita con me. Allora non sapevo distinguere realtà e finzione, realtà e desiderio. Neanche oggi in certi giorni trovo differenze marcanti. Ma a mente lucida cerco di non fare quel fatale errore. Trascorsi la giornata come tutte le altre, sembrava che nessuno però credesse al fatto che io avessi parlato con mia sorella che credevano morta. Erano ottusi, io non avevo visto l'incidente di cui tutti parlavano e nemmeno loro. Non potevo sapere e nemmeno loro la verità. Credere alla maggioranza delle opinioni è un grosso sbaglio. Avevo 10 anni e pensavo con la mia testa.

La notte prese il posto del giorno, ma benché fossi già sotto le coperte, non chiusi occhio. E poi arrivò;vestita come il giorno prima, con la stessa espressione era alla finestra e mi fissava. Mi avvicinai alla finestra e iniziai a parlare – Sai, il tuo letto si sente solo e freddo. Dovresti entrare – provai a convincerla. – mi danno tutti della pazza, non lo dicono, ma sento che lo pensano. Mi guardano come se non avessi accettato, ma sono loro che non capiscono- e continuai a parlare da sola con lei tutta la notte. Le notte seguenti non dormivo per parlare con la sorella che stava facendo soffrire tutti, ma non me. Non dormii per notti eppure la mattina non avevo sonno; i miei genitori parlavano di lei come un lontano ricordo che aleggiava su di noi, ma pesava solo su loro. Mi portarono anche da uno strizzacervelli perché finissi di vederla alla finestra. E ci stava riuscendo quel dottore. Mi svegliavo la mattina che il ricordo di Emma nelle conversazioni notturne era sfocato; mi portarono al cimitero dove una grossa pietra bianca era appoggiata a terra con una graziosissima foto di mia sorella sopra. Era così speciale che le avevano addirittura dedicato un monumento, come quelli nelle piazze. La notte che mi rispose per la prima volta le avevo parlato dei brutti voti che stavo prendendo a scuola e dei vari problemi con i nostri genitori. Mi disse una frase molto semplice, poggiandomi una mano sulla guancia fredda " Non ti preoccupare: prima o poi si sistema tutto". Non vidi mai più Emma la notte.

Ciao a tutti! Grazie per aver letto  e lasciate un commento!! 

-Madison


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⏰ Ultimo aggiornamento: Jan 09, 2016 ⏰

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