Capitolo 33-Benjamin

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Ha gli occhi azzurri e delle guance paffute. Le sue labbra solo colorate con un rossetto rosso che esalta il suo viso. Ha dei capelli ricci e biondi, così biondi che sembra quasi un sole. Sì, sembra proprio un sole. È tanto alta, credo che sia almeno la metà di me. Non sarebbe male, potrebbe essere la mia compagna di giochi, quell'amica a cui confidare tutti i miei segreti. Scriverli su un diario desterebbe sospetti, mi scoprirebbero. Potrei andare a letto ogni sera con lei, darle la buonanotte e sapere che il giorno dopo la troverei lì, nello stesso punto, proprio accanto a me. Lei non scapperebbe come gli altri, ci sarebbe sempre. Potrei portarmela in giro, dentro lo zaino della scuola. Beh, forse proprio lì non ci entrerebbe, ci sono i libri e i quaderni e quel grande portacolori con tutti quei pennarelli che la maestra ha fatto comprare alla mamma. Allora la troverei ogni giorno al mio ritorno da scuola, lì sul letto della mia stanza in mezzo a tutti quei supereroi che non sopporto. Sì, lei mi cambierebbe la vita. Mi fissa, come se mi dicesse di prenderla, di scegliere lei tra tante. Ed io lo vorrei tanto ma come potrei mai? Non c'è più, all'improvviso. Era l'ultima e non c'è più. Una bambina dai capelli ricci e biondi, proprio come quella bambola, l'ha presa e l'ha portata via. Eccola lì, in fondo al corridoio dei giocattoli, mentre corre verso la sua mamma che, non appena la vede, si inginocchia sorridente per guardare che cosa ha scelto la sua bambina nel reparto giocattoli delle bambine. Sì, perché le categorie sono perfino qui.
"Benjamin? Che ci fai qui?". Sento il cuore martellarmi nel petto mentre mi accorgo che il mio papà è qui in piedi accanto a me a fissarmi in attesa di capire perché mi trovo in mezzo a milioni di giochi per femminucce, come direbbe lui. Poi, lascia perdere quella domanda ed un sorriso appare improvvisamente sul suo viso, proprio come quella mamma con la sua bambina. "Guarda che ti ho preso", dice soddisfatto.
Guardo quello che ha in mano, è una Ferrari telecomandata. È enorme, e sarà pure costosissima. La prendo, vorrei sorridere ma è come se avessi un blocco e non ci riuscissi. Mi sforzo ma non penso di riuscirci bene.
"Che c'è tesoro? Non dirmi che volevi quel camion dei pompieri! Senti un po'... Questa è la più costosa di tutto il negozio! Ho capito... Vorrà dire che li prenderemo entrambi! Torno subito!", e corre nel corridoio accanto lasciandomi lì con il peggior regalo di Natale di sempre.

Quel ricordo mi ritorna in mente guardando la bambola di Kelly, la figlia di mia sorella Trish. Ha proprio gli occhi azzurri come Bettany, ho ancora in mente il nome di quella bambola che vidi al centro commerciale quando avevo dieci anni. Quella di Kelly, però, ha i capelli lisci e neri. Bettany era molto più bella, era proprio un sole.
"Zio! Ti piace la mia nuova bambola? Papà me l'ha comprata ieri per il mio compleanno!", salta contenta con quel nuovo giocattolo in mano.
"Vuoi sapere un segreto?", mi avvicino al suo orecchio e lei si ritrae sorridendo. Ogni volta che lo faccio si solletica sempre. "Quando ero un po' più grande di te volevo una bambola che somigliava un po' alla tua, solo che aveva dei capelli... Senti un po'... Bellissimi come i tuoi!".
Kelly si gira verso di me a bocca aperta. "E perché mai non l'hai comprata zio?".
Mi fermo a lungo a pensare a quello che mi ha appena chiesto mia nipote. Non riesco a risponderle ma solo a pensare all'innocenza di quella domanda. Vorrei che il mondo fosse così piccolo e avesse la purezza di un bambino negli occhi per guardare le cose in una maniera diversa. L'innocenza di non categorizzare le persone o le cose.
"Tutto bene?", Trish mi riporta alla realtà. Mia sorella l'ha sempre fatto, riportarmi nel mondo reale. Come quella volta che mi picchiarono a scuola e, tra tutti, fu solamente lei a difendermi e a beccarsi una sospensione di tre giorni.
"Sì, stavo solo parlando con la mia nipotina".
Alle mie parole Kelly fa il segno di bocca cucita a sua madre.
Ridiamo all'unisono mentre scappa via a giocare.
"Sta proprio crescendo...", dico con una nota di malinconia.
"Come stai?", mia sorella si siede accanto a me nel grande divano di pura pelle dei nostri genitori.
"Potrebbe andare meglio, di certo preferirei stare a casa mia che qui, a casa di tua madre e tuo padre".
"Mia madre e mio padre?!", ride, "Ehi! Sono anche i tuoi!".
"Non lo sono mai stati come lo sono stati con Jackson e Charlie... E con te". Guardo lì in fondo, in cucina, mentre i miei fratelli parlano di football con mio padre. Lui dovrà davvero essere orgoglioso dei suoi figli, i suoi figli maschi come dice sempre.
"Fratellino... Quando la smetterai di essere così duro con te stesso?".
"Quando la smetterà il mondo di esserlo?".
Leggo il rammarico di mia sorella negli occhi, in tutti questi anni l'ho sempre visto sul suo viso, ogni volta che ho provato a parlare con i miei, ogni volta che andavo a scuola e la maggior parte dei miei amici mi voltavano le spalle. Ed oggi, anche oggi riesco a leggerlo. Lei invece... Beh, Trish ha sempre saputo ogni singola cosa di me, il perché dietro i miei silenzi, il perché dietro le mie ferite al rientro da scuola, il perché dietro le mie lacrime. Ho sempre parlato con lei, di tutto, senza vergogna. Lei è sempre stata il mio unico punto fermo in famiglia e lo è tutt'ora.
"Allora? Siamo pronti per sederci a tavola?", mia madre viene verso di noi con il suo solito grembiule che ricordo fin da quando ero bambino. Quando lei usciva a fare delle commissioni lo indossavo di nascosto. Un giorno uno dei miei fratelli tornò a casa in anticipo ed io fui costretto a toglierlo in fretta e a nasconderlo dentro il forno, per finire poi bruciato erroneamente dalla domestica che lo accese per riscaldare la cena senza sapere che fosse lì.
"Sì, siamo pronti".
"Ehi fratellino", Trish mi prende per mano. "Ti trovo bene".
"Vuoi dire più sexy?".
"Voglio dire bene...", ride, "Sei sempre il solito!".

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