Capitolo Ventisette

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Le ore successive furono un susseguirsi di eventi che non ricordo particolarmente. Dopo essere usciti dall'ospedale andammo direttamente a casa mia, dove mia madre mi implorò di restare per le feste. Provò a spiegarmi che lei non ne sapeva nulla, e io le credevo. Provò anche a dirmi che sicuramente le intenzioni di mio padre non erano malvagie. E credevo anche a quello.

"Non puoi guadagnarti la fiducia di qualcuno con l'inganno e la manipolazione." Le risposi e lei si ammutolì.

"Se vi amate...siate felici, ma sappi che ogni volta che tornerò a casa sarà da te e Thomas, perché esattamente da oggi non ho più un padre." Non commentò e non disse nulla. Disse solo ad Elijah di starmi vicino sperando che io non la sentissi, ma ero troppo vicina per non sentirla.

Thomas non mi impedì di andare da nessuna parte, ma si raccomandò di non fare altre follie fino alla fine dell'anno.

"Non ti prometto nulla Thomas." Dissi io e poi parlai anche con Nate.

"Mi dispiace che tu sia venuto fino a qui e te ne debba già andare..." ma a mia sorpresa, mio fratello mi stupì e gli disse che poteva rimanere se ne aveva voglia.

"Non c'è motivo che vada via così presto. Se vuole ovviamente..." disse lui ed anche Nate rimase colpito da quella frase.

Salimmo in macchina ed Elijah partì senza guardarsi indietro. Tutto il viaggio ascoltammo musica e ci lasciammo i problemi alle spalle. Ci provammo. Ma inevitabilmente il discorso si riaprì e portò i suoi strascichi sul nostro umore.

"Dovresti denunciarlo al Rettore." Mi disse lui riferendosi al professor Holden. Ci avevo pensato, ma dopo capii che non aveva alcun senso. La vendetta non era roba mia.

"Per dire cosa Elijah? Che un professore mi ha aiutata a migliorare e mi ha aperto delle porte che magari da sola non sarei mai riuscita ad aprire, solo perché io potessi un giorno perdonare mio padre?" gli risposi seccata, ma non ce l'avevo con lui. Era l'intera situazione ad essere imbarazzante.

"E poi per ora non ci voglio pensare. Farò l'esame e poi non lo vedrò mai più. Spero." Dissi io e poi gli strinsi la mano destra che era appoggiata sulla mia coscia.

"Mi dispiace solo che stavi davvero provando a lasciare andare un po' di quella rabbia, ed ora te ne sei caricata a quintali sulla schiena. Un passo avanti e dieci indietro." Disse lui guardando la strada. In realtà non era vero. Non ero arrabbiata. Delusa? Molto. Devastata? Anche. Ma non avevo la forza di essere pure arrabbiata.

"Non ci pensare. In questo momento non sono arrabbiata con nessuno. Sono solo grata." Dissi io guardandolo di profilo. Era tutto ciò che in quel momento mi stava facendo stare bene. Era così destabilizzante avere una persona con così tanto potere nella mia vita. Mi faceva sentire veramente piccola, ma allo stesso tempo amavo quella sensazione: il potere da un momento all'altro lasciarmi cadere, senza avere paura di scontrarmi con il cemento, ma atterrare nelle sua possenti braccia.

"Grata di cosa?" mi chiese lui.

"Per uno in gamba come te, pensavo ci arrivassi da solo..." gli dissi io ricordandomi di quella mattina, quando mi cucinò i pancake e tutto era così nuovo.

Non riconoscevo più quella ragazza e nemmeno quel ragazzo. Erano entrambi cresciuti l'uno per l'altra.

Lo vidi sorridere con la coda dell'occhio, ma poi tornò subito serio, come se non volesse farmelo vedere. Sorrisi allo stesso modo e continuammo per la nostra strada. Ancora insieme.

Sapevo che la sua famiglia era ricca. Lo avevo percepito quando conobbi Trisha, ed anche dal suo atteggiamento, ma quando vidi quella che lui chiamava "baita" rimasi completamente paralizzata.

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