Crying Sky

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Era una di quelle serate che detestavo. La pioggia picchiettava sulla finestra del salotto, il fuoco scoppiettava piano nel camino - nonostante fosse piena estate, purtroppo per me - , le bambine erano incollate alla televisione, stravaccate comodamente sul rosso divano di pelle che era stato comprato da mia madre qualche anno prima, e le mie dita tremavano leggermente sui tasti del pianoforte mentre tentavo di suonare un intricato brano di Chopin. Divertente come, nonostante tutti i rumori presenti in quella casa, io riuscissi a sentire soltanto silenzio. Devastante silenzio, incolmabile vuoto, passi assenti, parole non dette. 

Premetti i palmi delle mani contro ai tasti in uno spasmo schizofrenico, trattenendo un grugnito frustrato. 

“Dannazione.” sibilai a denti stretti, attento a non farmi sentire. Presi a massaggiarmi le tempie lentamente, cercando di scacciare quella stressante sensazione di vuoto dalla mia testa. “Bambine, per favore, potreste tenere il volume della tivù un po’ più basso?” chiesi con il tono più gentile che potessi riservare alle dieci di un sabato sera piovoso trascorso a scervellarmi su un brano che non riuscivo ad eseguire, senza le mani esperte di mio marito a guidare le mie. 

Il mio cuore perse un battito al solo pensiero di Louis accanto a me, ma non potei fare a meno di continuare a fantasticare su di lui. Così mi persi in fretta nei miei pensieri, distaccandomi dalla realtà e dimenticandomi completamente di quello che stavo facendo. Immaginai che - per qualche assurdo motivo - avrebbe bussato alla porta da un momento all’altro. 

Bello come al solito, i capelli sistemati con quella sua classica precisione che ogni tanto lo portava a scatti di rabbia incontrollabili, gli occhi azzurri brillanti, l’ombra delle ciglia lunghe proiettata sui suoi zigomi sporgenti, la pelle perennemente abbronzata ed il suo sorriso ad ornare il tutto. Immaginai il suo profumo dolce, le sue dita intrecciate con le mie… Come sarebbe stato averlo per me un’altra volta? 

“Pa’, ti senti bene?” Sussultai sul posto  e iniziai a sfoderare dentro di me una lunga fila di imprecazioni, accorgendomi che Isabelle si era alzata dal divano per venire a sedersi accanto a me. Sembrava stanca quanto me, forse anche di più. 

“Certamente.” mentii spudoratamente, un sorriso sereno a mascherare tutta la tensione che sentivo scorrere nelle vene. La bambina mi guardò confusa, corrugando le sopracciglia ed arricciando il naso. Non era mia figlia, ma mi assomigliava in un modo terrificante. Era alta, slanciata, dalla pelle bianca e delicata, aveva labbra rosse e ben definite, occhi grigi circondati da folte ciglia castane, come i suoi lunghi capelli mossi. 

“Sei preoccupato per papà Louis?” chiese con quell’innocenza sconfinata, classica dei bambini e di suo padre. Mi scappò una risata, abbracciai Isabelle e posai un bacio sui suoi capelli spettinati. 

“Nah, lui ha detto che se la può cavare benissimo anche senza di me. Tu, invece? Tu sei preoccupata per papà?” il mio tono di voce suonò più triste di quanto avrei voluto. Lei premette qualche tasto del piano a caso, producendo note distaccate e poco melodiose. 

“Sono preoccupata per te.” socchiuse gli occhi e spostò le mani freneticamente, facendole volare sopra il freddo pallore del piano, e si mise a suonare una melodia semplice e ripetitiva. Era una vecchia canzoncina che aveva scritto Louis ancor prima che ci sposassimo: me la canticchiava quando stavo male o mi veniva un attacco di panico. Sentire le stesse note riprodotte da nostra figlia fece attorcigliare il mio stomaco su sé stesso. 

“Credi che papà tornerà per il mio compleanno?” chiese speranzosa, una scintilla le attraversò gli occhi velocemente, andandosene poi com’era venuta. Pensai a lungo a cosa dire, senza arrivare ad una vera conclusione. 

Crying Sky (OneShot Larry) Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora