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°Lasciate ogni speranza, voi ch'intrate.°

La grossa scritta brillava sopra il massiccio portone di marmo bianco della Cattedrale del Mare di Europa. Le lettere erano avvolte dalle fiamme e proiettavano bagliori gialli e arancioni sui cornicioni anneriti e sulle statue. Sotto la scritta scorrevano le immagini dell' Inferno. Giorno e notte. Ininterrottamente.

Si vedeva un ragazzo di circa vent'anni steso a terra, parzialmente nascosto da una roccia. Alle sue spalle un sentiero si inerpicava su un pendio peer qualche decina di metri, terminando di fronte a imponenti mura di cemento. All'improvviso, nell'inquadratura comparve il muso di un cane. Annusò l'aria, si voltò a destra e a sinistra con una zampa raspò il terreno. Il profilo di un secondo cane emerse dal buio, abbaiava con rabbia, schizzi di bava volavano tutto attorno. Solo quando si materializzò una terza testa, il corpo dell' animale avanzò verso il ragazzo. Le zampe possenti, il petto largo e muscoloso, il pelo ispido già sporco di sangue.
L'urlo di una bambina rimbombò nella piazza non appena le tre teste cominciarono a roteare nervosamente mostrando i tre colli uniti a un unico corpo. Era un cerbero, una delle creature mostruose che infestavano l'Inferno. I suoi muscoli si gonfiavano ogni volta che una delle teste scattava in avanti, mentre le zampe battevano con violenza sulla terra, trattenendo a stento una furia pronta a esplodere.
Poi il cerbero si avventò sul ragazzo.
Alec si fermava sempre di fronte a quelle proiezioni per qualche minuto, dopo la giornata di lavoro al Casinò. Quello spettacolo era una magra ma sufficiente consolazione per ricordarsi che la sua vita era pur sempre meglio dell'Inferno.
Con le mani sprofondate nelle tasche, la schiena appoggiata al muro di una delle case fatiscenti che un tempo erano state le abitazioni dei pescatori, Alec osservava quelle scene e si interrogava sulle colpe dei dannati.
<<Secondo te muore?>> chiese una voce femminile alle sue spalle.
Alec si voltò e sorrise. <<Ciao Maureen.>>
La felpa nera le nascondeva il seno e i fianchi, i jeans larghi mascheravano le gambe snelle, mentre il cappuccio calato sulla fronte tratteneva i lunghi capelli ricci e faceva ombra sulla pelle olivastra e gli occhi profondi. Al lavoro si vestiva con mini gonna e top provocanti, ma quando usciva dal Casinò, difficilmente un cliente l'avrebbe riconosciuta.
L'immagine sullo schermo si dissolse e al posto del cerbero comparve il simbolo dell' Oligarchia: il cerchio infuocato con i quattro raggi, uno per ogni oligarca di Europa. La loro unione era sancita dal fuoco, il loro potere affondava le radici nella giustizia assoluta dell'Inferno.
Lo schermo si oscurò per alcuni secondi, quindi mostrò una ripresa aerea del grande cratere infernale. I pendii esterni erano coperti da una fitta vegetazione che si diradava man mano che saliva verso la cresta, dove sorgeva il primo imponente anello di mura di cemento. Tutto attorno al vulcano il mare si estendeva a perdita d'occhio.
Quelle immagini, che venivano proiettate sulle facciate di tutte le cattedrali di Europa, avevano sempre esercitato uno strano fascino su Alec. Per lui l'Inferno non era solo <<la più grande prigione di massima sicurezza mai esistita>>, come la definivano i politici nei dibattiti televisivi, ma anche l'unico volto del mondo libero.
Al di là dei palazzi in rovina, delle strade sudice e del Casinò dove lavorava, esistevano certamente altri vulcani, montagne e mari: per un ragazzo di diciassette anni erano comunque un'attrattiva, anche se doveva ritagliarli delle scene macabre dei dannati che morivano nei cerchi infernali.
<<Ieri hanno portato via uno al Casinò>> disse Maureen, cercando di non pensare al ragazzo morto. <<Un uomo sulla cinquantina che viene sempre a bere e a giocare.>>
<<Perchè?>>
<<Nepente credo, spacciava.>>
Il nepente era la droga più diffusa a Europa, anche tra i ragazzi. Annullava ogni dolore, ogni paura, ti faceva dimenticare la tua vita.
Ma Alec aveva visto troppi amici bruciarsi il cervello e finire all'Inferno per cedere a quella tentazione. <<Sono gli spacciatori che mandano avanti gli affari al Casinò.>>
<<Sì, ma ogni tanto qualcuno lo devono mettere dentro. Hanno detto che per colpa sua erano morti tre ragazzi.>>
<<Vedrai che quando esce sta meglio di prima. Quelli come lui se la cavano sempre, sono i disgraziati che buttano all'Inferno per liberare le strade che schiattano dopo una settimana.>>
Maureen non ribattè. Sapeva bene che quelle parole piene di rancore non erano dette a caso. Un amico di Alec, un anno prima, era stato condannato all'Inferno per furto. Lo avevano beccato di notte nel magazzino di un centro alimentare e di lui non si era più saputo niente.
<<Comunque il tipo non ha fatto una piega>> continuò Maureen.
<<Ci sono quelli che piangono, urlano come disperati. Invece lui è rimasto impassibile. Come si fa?>>
Alec si strinse nelle spalle. Non aveva idea di come avrebbe reagito lui se lo avessero condannato all'Inferno, se avessero scoperto le sue incursioni notturne al centro alimentare o i proiettili che acquistava regolarmente dalle guardie dell'Oligarchia. L'avrebbero spedito lì per un anno, forse due, nel primo cerchio magari. C'era chi diceva che un anno te lo potevi anche fare, tornavi indietro che stavi meglio di prima, ma Alec non ci credeva.
La proiezione si interruppe per pochi istanti. I riflessi arancioni della scritta infuocata lasciarono il posto a una luce bianca, quasi accecante.
Al centro dell'inquadratura comparve una villa incorniciata dal cielo azzurro e da uno spicchio di mare che si intravedeva ai piedi di una collina di ulivi. Tutto attorno alla villa, fiori di mille colori fluttuavano a ogni soffio di vento. C'era anche una piscina di pietra e una cascata che sgorgava da una roccia riflettendo decine di piccoli arcobaleni. Due bambini si schizzavano con l'acqua, mentre su un tavolo di cristallo trasparente un uomo e una donna si godevano una ricca colazione. Oltre la villa svettavano altre statue di marmo decorate d'oro e d'argento. Poi si materializzò il volto di un uomo, i capelli brizzolati, gli occhi azzurri, la pelle leggermente abbronzata e il sorriso rassicurante. Il movimento delle sue labbra anticipò di pochi istanti l'audio, che proveniva dagli altoparlanti sistemati sui cornicioni della cattedrale.
"Scegli un'altra vita, scegli il meglio. Nel cuore del Mediterraneo, splendide residenze per famiglie. Non aspettare che sia la vita a scegliere, scegli tu la vita che vuoi."
<<Dovremmo andare a vivere li>> disse Alec. <<Ci pensi? Ti svegli la mattina, ti tuffi in piscina, poi ti metti a fare colazione in giardino...>>
<<Dovrei lavorare per duemila anni per riuscire a pagarmi una casa così.>>
<<Bene, comincia allora, duemila anni passano in fretta.>>
La villa scomparve e l'atmosfera chiara e solare delle residenze del Paradiso lasciò di nuovo il posto alle immagini dell'Inferno.
Tre ragazzi stavano cercando di accendere un fuoco in un piccolo anfratto tra le rocce. Ma il vento continuava a spegnere le fiamme. Ognuno stringeva in mano la scatola con la sua razione di cibo.
<<Perchè non usano la scatola per accendere il fuoco?>> chiese Maureen.
<<Sono appena arrivati>> rispose Alec sicuro <<non hanno ancora capito niente.>>
Uno dei tre scoppiò a piangere e Alec si accorse in quel momento che si trattava di una ragazza. Si domandò cosa avesse fatto per essere condannata all'Inferno, e improvvisamente pensò a Beth, la sua sorellina, che lo aspettava a casa.
<<Andiamo?>> disse all'improvviso, scrollando la testa per scacciare quella visione.
Entrambi si guardarono attorno prima di riprendere la strada di casa. Era un gesto automatico, il modo migliore per evitare di essere derubati. Maureen da un paio di mesi viveva nella scuola occupata non lontano dalla Cattedrale del Mare, insieme a un centinaio di ragazzi senza famiglia del quartiere Gotico. Alec l'accompagnò fino al portone.
<<Ci vediamo domani?>> chiese Maureen.
<<Ho il turno di notte.>>
<<Anch'io. Poi se vuoi possiamo venire qui.>>
Alec la guardò negli occhi: avrebbe voluto isolare quello sguardo dalla città lurida che lo circondava e costruirci un altro mondo tutto attorno. Trovava Maureen bella, attraente. Cinque giorni prima si erano baciati, nella dispensa delle cucine, al Casinò. Ma poi non ne avevano parlato nè era successo altro, anche se Alex ricordava ancora la sensazione della sua pelle sul viso, e il suo profumo dolce e leggermente speziato.
<<Ciao>> disse Maureen, avvicinandosi per dargli un bacio che finì tra la guancia e il labbro. Poi corse dentro la scuola.
Alec la guardò scomparire nei corridoi, e si infilò nel reticolo di viuzze del quartiere Gotico, in mezzo alle vecchie locande dei pescatori, per lo più frequentate da fumatori di nepente e prostitute.
Si fermò al primo posto di blocco sul confine meridionale del quartiere per accedere all'area residenziale. 
La guardia passò il rivelatore elettronico sull'anima impiantata sul petto, appena sotto il collo. Sul display comparve la foto di Alec: le labbra scure e carnose, il naso leggermente adunco e la mandibola spigolosa. La fronte era corrugata e i capelli un po' troppo lunghi coprivano gli occhi neri.
La guardia confrontò la foto con il volto del ragazzo e annuì facendolo passare.
Alec imboccò un viale su cui si affacciavano palazzi di venti, trenta e anche quaranta piani, collegati da un gran numero di ponti. Le pareti di vetro erano spesso rotte, crepate, altre volte erano state sostituite con lamiere di ferro arrugginito, rame ossidato o anche semplici pannelli di legno. Nel complesso, erano però le dimore migliore alle quali un abitante di Europa potesse aspirare. Chi viveva nelle città grattacielo non aveva bisogno di scendere per le strade. I negozi, le chiese, le scuole, erano distribuiti sui diversi livelli e ciò garantiva maggiore sicurezza, controllo e un inserimento più stabile nelle liste di lavoro.
Superò un secondo posto di blocco oltre il quale cominciava Konema, il suo quartiere.
Condomini fatiscenti di cinque o sei piani si alternavano a casette monofamiliari. Le strade erano affollate di persone e bancarelle distribuite tutto attorno a un piccolo parco. Alec comprò farina, patate, qualche cipolla e un quarto di gallina. Si lasciò il mercato alle spalle e finalmente, dopo un paio di vicoli pieni di buche e pozzanghere, arrivò davanti casa.
Era un cubo di cemento e lamiere, che però comprendeva anche un piccolo pezzo di terra, dove d'estate riuscivano a coltivare zucchine e pomodori.
Varcando la soglia percepì una strana atmosfera. Passò in rassegna il divano sfondato, coperto alla buona da una spessa tenda rossa, la cassapanca di legno, il piccolo televisore appoggiato a terra accanto al camino, e il tavolo con i fornelli e la bombola del gas. Non c'era nulla fuori posto e forse era proprio questo il problema. In casa non c'era nient'altro.
Si guardò attorno nervosamente. Sua madre non c'era, Beth nemmeno. Potevano essere stati derubati: si mise in ascolto per cogliere dei rumori sospetti, i ladri potevano essere ancora in casa.
La porta della camera della madre si aprì di colpo. Alec fece un salto indietro prima di riconoscere Beth che gli correva incontro.
<<Che sta succedendo?>>
Lei non rispose, ma lo abbracciò.
Lui la prese per le spalle. <<Ehi, tutto a posto? Dov'è finita tutta la roba?>>
Beth non disse nulla però sorrise. Quando lo faceva il suo viso si illuminava. Aveva lineamenti delicati, occhi verdi, capelli lisci e dorati con la frangia che arrivava quasi agli occhi. Ricordava uno degli angeli affrescati nella cattedrale, gli ultimi rimasti nelle cappelle laterali.
<<Beth, dov'è la mamma?>>
La bambina si strinse nelle spalle e indicò la camera.
<<E' in camera?>>
Annuì.
<<Cosa sta facendo?>>
Beth fece di nuovo spallucce e andò a sedersi sul divano.
Alec si rilassò. Non era successo niente di strano. Si tolse la giacca e la appoggiò sui una delle sedie attorno al vecchio tavolo di legno tarlato.
<<Com'è andata oggi?>> le chiese lanciando uno sguardo al debole fuoco che bruciava nel camino. <<Hai avuto freddo? Forse riesco a procurarmi una tanica di petrolio a lavoro... Altrimenti andremo a scuola, da Maureen: si stanno organizzando bene, sai? Le guardie hanno deciso i lasciarli stare, infondo che male fanno? La scuola è abbandonata ormai da due anni...>>
Mentre accendeva la televisione, Alec si accorse di un nuovo disegno sul muro sotto una finestra. Raffigurava una montagna che si innalzava sopra un cerchio. Ma era incompleto.
<<Cos'è?>> domandò. <<Sembra una montagna.>>
Beth annuì.
<<E quello sotto? Il cerchio? E' un mondo?>>
Beth fece di nuovo cenno di sì e Alec si avvicinò al muro, seguì con un dito il contorno dell' immagine, mentre nella mente affiorava il ricordo del padre, del libro che gli leggeva tutte le sere e dei disegni che faceva lui tra una pagina e l'altra. Una sera gli aveva detto: <<Quando morirò questo libro sarà tuo. Un giorno ti salverà la vita.>>
L'indomani era stato portato via dalle guardie dell'Oligarchia, e il libro era scomparso. Da quel momento non era passato un giorno senza che Beth facesse almeno uno di quei disegni che aveva imparato quasi a memoria.
Alec strinse gli occhi, come a voler chiudere fuori i ricordi, calando un nero sipario sul suo passato. Alzò lo sguardo verso lo specchio scheggiato appeso sopra il camino. Al Casinò ce n'erano di enormi dietro il bancone del bar e nelle sale gioco, ma Alec aveva l'impressione che solo questo restituisse la sua vera immagine.
Dal televisore arrivava la voce impostata di una giornalista.
<<Manca poco all'annuale parata delle guardie dell'Oligarchia, occasione preziosa per tutta Europa celebrare la pace, l'ordine, la prosperità.>>
Dietro la donna avanzava un carro armato coperto da una grande bandiera con il cerchio a quattro raggi, e al seguito marciavano le guardie.
<<Tutta la cittadinanza è invitata a esporre la bandiera di Europa e a unirsi ai festeggiamenti.>>
Nella mente di Alec i ricordi presero forma come fiamme che divampavano da un cespuglio secco. <<Non portate via il mio papà.>> urlava Beth mentre le guardie lo accerchiavano.
<<Papà, che sta succedendo? Cosa vogliono da te?>> <<Vattene Alec, prendi tua sorella, andate in camera!>> <<Ma perchè? Cos'hai fatto?>> Le guardie lo avevano bloccato per le braccia, ma lui si era divincolato ed era corso fuori di casa. Beth urlava e piangeva. Poi gli spari, quattro colpi di fucile. Beth era corsa da Alec e lo aveva abbracciato piangendo. <<Non portate via il mio papà>> aveva detto ancora una volta.
Erano state le sue ultime parole.
La porta della camera da letto si aprì cigolando sui cardini.
La madre entrò in sala camminando velocemente con un grosso cesto di vestiti tra le braccia.
<<Ciao, mamma>> la salutò Alec. Lei lo ignorò. Poggiò il cesto sul divano accanto a Beth e spense la televisione. Poi aprì uno dopo l'altro i cassetti del tavolo tirando fuori posate e mestoli di legno. Prese della carta di giornale e ce li arrotolò dentro.
<<Mamma, che stai facendo?>>
La donna gli rivolse uno sguardo distratto prima di tornare in camera da letto. Alec guardò sua sorella, pur sapendo che da lei non avrebbe avuto spiegazioni. Quindi raggiunse la madre in camera. La trovò che gettava alla rinfusa le lenzuola, abiti e oggetti di ogni tipo in un grosso borsone di pelle.
<<Che fai?>> chiese Alec esasperato. 
Questa volta lei si bloccò, sembrava incantata. I capelli neri, appena striati di bianco, le ricadevano in ciocche disordinate attorno al viso segnato dalle rughe.
Prese una busta dal comodino e la strinse tra le mani. <<hanno accettato la nostra richiesta>> sussurrò. La voce tremava.
<<Quale richiesta?>>
<<Non ti avevo detto niente, non avevo intenzione di farlo. Non credevo che fosse possibile... eppure.>>
<<Mamma, quale richiesta? Dove stai andando?>>
<<Non io, noi, tutti e tre. E' un periodo di prova, hanno inserito anche te nel piano lavoro, dovremo occuparci di Beth, faremo un giorno a testa e...>>
Un singhiozzo la costrinse a fermarsi. Si portò la busta al petto, poi la porse ad Alec. Lui la aprì, estrasse un foglio piegato in tre e lo lesse sotto lo sguardo attento della madre.
<<E' vero?>> le chiese.
La donna annuì. <<Si!>> sorrise. <<Andiamo in Paradiso.>>


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⏰ Ultimo aggiornamento: Oct 06, 2021 ⏰

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