Capitolo 12: il classico attacco all'alba

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"Davvero non avete bisogno di altro?"

"Certamente! Noi automi non abbiamo altri bisogni se non il fabbisogno energetico."

"Nemmeno andare in bagno?"

"Heh... nemmeno andare in bagno."

"Però c'è ancora una cosa che non mi hai spiegato."

"Sarebbe...?"

"Non mi hai spiegato ancora come l'ambasciatore sia stato in grado di vedermi."

"Che vuoi dire?"

"Non credevo che fosse possibile: mi ero nascosto interamente dietro la parete... eppure lui mi ha visto. Come mai?"

"Oh, ora capisco. È stato grazie ai nostri sensori dei valori vitali."

"...?"

"Ci permettono di vedere la vita nei suoi aspetti. Che sia calore, battiti cardiaco o respiro, i nostri sensori sono in grado di riconoscere quei particolari segni che la vita lascia."

"Mi sembra spaventoso da dire... come se foste dei segugi."

"Oh, non ti preoccupare di-"

Spezzò la frase a metà, cambiando espressione in un singolo istante. Si era accorto di qualcosa, ma di che cosa? S si girò verso il maniero, con fare perplesso, ma anche frettoloso... forse era qualcosa di brutto quello che sentiva. Dopo aver ascoltato tutte le sue spiegazioni per tutto quel tempo era chiaro come potesse percepire l'impercettibile, ma comunque rimanere tagliato fuori dalla sua scoperta lo lasciava appeso. S si guardava a destra e a sinistra, come se cercasse qualcosa. D'improvviso, qualcos'altro piombò sulla scena, confermando quello scatto d'attenzione. Una moderata esplosione di detriti, provocata dal rilascio di materiale vario dal maniero, si abbatté tutta in un solo punto, dalla quale uscì una strana e violentissima corrente d'aria. Era evidente che qualcosa all'interno stava accadendo. Qualcosa di terribile.

"Devo andare. Tu sta qui!"

Si fiondò verso l'origine di quel fenomeno, senza paura. Correva a una rapidità disumana, lasciando Il indietro come un oggetto immobile. Non ebbe il tempo di trattenerlo con una futile frase, che S si trovava già di fronte all'entrata posteriore. La stessa dalla quale l'annuncio di quelle vicende era arrivato. Coperto dall'ombra dello stesso albero, con lo stesso suono delle foglie fruscianti, con la stessa erba ondeggiante... non poteva proprio rimanersene fermo a guardare. Prese con sé la propria spada, un oggetto inseparabile della sua avventura, che porta con sé un grande significato, oltre che una grande forza. Cercò di accodarsi all'automa, mettendosi a correre più velocemente che poté. Ovviamente non abbastanza da eguagliare metà di quella rapidità.



"Se voi lattine avete voglia di giocare un po', allora cercherò di divertirmi anch'io."

La voce di Lionheart era carica di rancore. Qualcosa che pochi si sarebbero aspettati di vedere in un eroe senza macchia come lui, ma che diveniva ancora più forte quando veniva portata da una persona del genere. Il pugno dell'automa che aveva ingaggiato battaglia per primo rimaneva alzato, mentre uno scudo sulle mani dello spadaccino lo separava dal proprio corpo. Un corpo tremante dalla fatica. Quella era una prova di forza impossibile per qualunque normale umano, perché il peso e la potenza di quell'energumeno superavano qualunque immaginazione. Il suono del metallo che raschiava e si deformava cominciava a riempire quella stanza rimasta così silenziosa, dopo l'assordante impatto. Lionheart reggeva con tutte le proprie forze, ma il peso aumentava a dismisura. Quando fu troppo non ci poté fare nulla, se non evitarlo. Portò lo scudo di lato e fece passare la manona al suo fianco, raschiando contro la superficie dello scudo, scaraventando di lato l'eroe e impattando violentemente contro il terreno, che si spaccò. Il secondo automa, quello finora rimasto in panchina, approfittò del momento per aggredire il sapiente. Caricò con il proprio peso come se fosse un toro. Lionheart lo vide passargli accanto come un treno. Il sapiente se lo vide venire contro come una meteora. Quando stava per raggiungere il bersaglio, però, qualcosa lo arrestò. Si schiantò contro qualcosa di solido: era un muro di roccia. Una voce squillante ed arrogante si palesò da dietro il suo angolo.

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