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Mia madre e mia sorella corrono come delle schegge da una parte all'altra della stanza per ricomporre al meglio la mia roba e chiudere una valigia. All'interno ci sono delle magliette appallottolate e piegate alla svelta.

Mi metto seduto sul lettino e le fisso mentre sono indaffarate.

Mamma corre a sorreggermi.

«Tesoro, non devi per forza alzarti, sarai molto stanco, non vorrei che..»

«Infatti non voglio alzarmi», le confermo.

Lei mi abbozza un sorriso quasi deludente e poi torna alla valigia.

Mi giro e vedo una porta, accorgendomi che porta al bagno.

«Anzi, ripensandoci, devo fare pipì», dico.

Con calma metto i piedi a terra, evitando le suppliche di mia madre e mia sorella, tranquillizzandole. «Sono solo due passi», ho un filo di voce ma meglio che lo usi per cercare di difendermi da quelle due donne.

A passo lento raggiungo il bagno e apro il rubinetto per lavarmi un po' la faccia.

"Mi sento uno straccio", penso. Fisso la mia immagine riflessa sullo specchio. Ho due occhi gonfi e il viso leggermente arrossato dal cuscino dell'ospedale. La pelle sudaticcia e leggermente grassa per via del calore. "Sono uno straccio", confermo.

Resto per un bel po' di tempo a buttarmi acqua sul viso fino a quando non mi sento più fresco e lucido.

Mi volto per uscire e incontro mia madre che stava venendo a chiamarmi. 

«Tesoro, le cose sono tutte al loro posto, devi solo cambiarti ora.. senti caldo?», dice notando la mia faccia completamente bagnata.

«Leggermente», rispondo.

«Vieni, ti ho posato i jeans e la maglia dei Lakers che ti piace tanto». Mi indica i vestiti ben piegati sul letto.

Scuoto la testa e quando prendo i jeans le guardo alzando un sopracciglio. 

«Oh, sì, certo!», intuisce Cathie, «mamma, usciamo».

«Ma ti ho creato io, amore, quante volte ti ho visto nudo!», esclama, senza rendersi conto dell'esagerazione.

Cathie l'afferra per un braccio e la fa uscire, ammiccando un lieve: «Perdonala, Lulu».

Mi tolgo quella specie di camicie ospedaliero che ad averlo tra le mani quasi mi fa rabbrividire.

"Come può essere successo?", mi domando. "Che cosa ho fatto?".

Mi viene quasi in mente l'immagine del mio amico Denny, "sempre che questo sia il suo nome", e il bisogno di capirci qualcosa.

Il cellulare, il mio cellulare. Mi guardo intorno ma non vedo nulla; cerco tra le coperte del letto, sulla poltroncina, sul tavolino, nel bagno e persino nel vaso della piantina vicino la finestra.

"Dov'è il mio telefono?".

Nel frattempo ero riuscito ad infilarmi solo i jeans, quando improvvisamente mamma fa capolino con ansia.  «Tesoro, hai fatto? Oddio, scusa, pensavo..»

«Non fa niente, mamma», dico infilandomi alla svelta la maglietta.

«La valigia la portiamo noi. Possiamo lasciare la stanza», conclude.

La comoda BMW guidata da mia madre ci lascia di fronte la maestosa casa che "suppongo sia la nostra". Ma fortunatamente più mi addentro nella dimora e più gli oggetti e le pareti al suo interno me la fanno ricordare.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Apr 08, 2015 ⏰

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