𝐶𝐴𝑃𝐼𝑇𝑂𝐿𝑂 7 - 𝘱𝘢𝘳𝘭𝘪𝘢𝘮𝘰𝘯𝘦

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Non avevo chiuso occhio per tutta la notte.
Il pensiero di aver messo nei guai una persona mi tormentava.

La tutor di Emilia mi aveva spiegato che attraversare il corridoio opposto era severamente proibito. Chiunque avesse ignorato quella regola fondamentale sarebbe finito dritto dritto al cospetto delle Sfere e avrebbe portato addosso il marchio dell'errore commesso.
Nel caso di Brandon si trattava di una piuma bianca in mezzo a tutte le altre rosse della sua ala sinistra.
Chiunque avrebbe visto e capito cos'era successo.

Stanca e nervosa, percorrevo in loop un breve tratto davanti alla porta della Sala Grande aspettando il verdetto delle Sfere Rosse.
Attendevo di sapere quali sarebbero state le sorti di quel Demone.

Più pensavo a quello che era accaduto e più ribollivo di rabbia: avrebbe dovuto lasciarmi scegliere.
Se lo avesse fatto non sarebbe nei guai, ed io non starei così tanto in pensiero per un ragazzo egocentrico e ficcanaso.
Poi però mi tornavano in mente le sue parole:

«Per privare Destiny di un Angelo rompiscatole come te? Non me lo perdonerei mai»

E quasi credevo che, in fondo, cominciava ad affezionarsi un pò a me.
Subito dopo, però, piombavo nuovamente con i piedi per terra.
Che idiozia! Lui pensava solo ed esclusivamente a sé stesso e magari non voleva semplicemente addossarsi la colpa di avermi lasciata morire.

A quelli come lui non importava nulla di quelle come me.

Finalmente la porta si aprì dopo minuti interminabili, che a me erano sembrate ore ed ore intere, rivelando proprio quel Demone.
I nostri occhi si incrociarono, dai miei divampavano fiamme, e un sorriso compiaciuto gli apparve sulle labbra.

«Oh, è preoccupata per me!» rise.
Era incredibile! Persino in una situazione tanto seria come quella pensava a prendermi in giro.

Sospirai.

Mi risultava impossibile tenergli testa e iniziavo già a stancarmi dei suoi giochetti idioti.
Lo guardai con le sopracciglia sollevate, attendevo delle risposte e sembrava averlo capito.

«Nulla. Hanno deciso di impiccarmi, per loro le regole sono sacre»

Gli occhi stavano quasi per uscirmi fuori dalle orbite. Lo avrebbero fatto sul serio?
Ero io la causa.
Mi sentivo terribilmente mortificata, triste, in colpa, non sapevo nemmeno descrivere ciò che stavo provando.
Fino a quando una fragorosa risata non invase i miei timpani.
Ma certo, era una delle sue prese in giro come sempre.

«Idiota! Ed io che mi stavo lasciando divorare dai sensi di colpa»

«Dovresti, in fondo sono finito in questa situazione per salvarti» rispose con il suo solito ghigno carico di scherno.

Beh, colpita e affondata.
Magari le sue parole non avevano il fine di ferirmi, o magari si, l'unica mia certezza era che qualcosa dentro si era smosso.
Una delle tante barriere che avevo costruito per proteggere ciò che restava del mio cuore era crollata. Il mio velo di apatia, puff, dissolto nel nulla.

Dal giorno in cui mia madre aveva lasciato la nostra casa, avevo promesso a me stessa di non provare mai più nessun tipo di emozione, e fino a quel momento c'ero anche riuscita.
Perché, allora, un turbine di rimorsi e la consapevolezza della sua ragione mi stavano divorando?

Tenevo le mani basse sfregando i palmi delle mani fra di loro con una forte pressione.
Dovevo riprendermi.
Dovevo ricompormi e tornare ad essere 'quella senza sentimenti', come dicevano i compagni di classe.
Le emozioni rendevano vulnerabili agli occhi delle altre persone, in special modo il dolore, la tristezza, la sofferenza.
Mi stavo mostrando in colpa, debole, mi stavo letteralmente dando in pasto ad un Demone famelico di battutine e prese in giro.
Non potevo permettere a nessuno di distruggermi, non di nuovo perlomeno.

𝑯𝑬𝑳𝑳 𝑨𝑵𝑫 𝑯𝑬𝑨𝑽𝑬𝑵Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora