Capitolo quarto

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(18 — no happy ending)


     Cinque anni prima, una notte di pioggia, era da quelle parti che Adrien incideva una crepa sul cuore di Ladybug e glielo frantumava in un solo addio. Abbandonato per sempre il suo anello, l'Arco di Trionfo l'aveva accompagnato mentre si amalgamava alla folla e Adrien si era sentito come silenziosamente giudicato perché, per una pura questione d'abitudine, quell'arco era diventato il loro posto. Innumerevoli volte aveva assistito silenzioso ai loro giri di ronda notturni, innumerevoli volte si erano rifugiati lassù come a voler vegliare sull'intera città – e Adrien aveva sempre saputo (forse un po' di più quando si era sfilato l'anello per sempre) che la presenza di Ladybug gli sarebbe mancata come l'aria e la sua assenza gli avrebbe scavato un vuoto dentro.

 E sempre cinque anni prima, quando ancora però Adrien non conosceva i mille segreti che graffiavano suo padre, c'era stata una rimpatriata di classe del collège su idea di Rose e Juleka. Era andato tutto bene finché Kim e Alix non si erano messi a gareggiare e Kim si era sfracellato il naso andando a sbattere contro un muro.

 A distanza di anni che sembravano secoli, ora Adrien osservava le luci dei lampioni creare riflessi giallognoli sulla Senna addormentata. Ce n'era uno proprio a fianco al loro tavolo che delineò con morbidezza i lineamenti di Marinette mentre si sporgeva per ringraziare il cameriere che li aveva appena serviti.

 Adrien trovava solo ora il tempo di riflettere su quanto fosse cambiata. Era sicuramente più alta, ma la differenza che subito saltava all'occhio erano i capelli tagliati molto corti.1 Adrien ricordava che già al liceo aveva considerato l'idea, ma quando lui e suo padre avevano lasciato Parigi li portava ancora lunghi.

 Il cambiamento più lampante, tuttavia, era il carattere – Marinette era sempre Marinette, aveva un sorriso che scioglieva il ghiaccio e una parola cortese per chiunque, ma la sua riscoperta spigliatezza nei confronti di Adrien permetteva loro di conversare come i vecchi amici che erano. E, a lui, conversare con Marinette come se a dividerli non ci fosse nulla, era mancato così tanto che non si stupì dei battiti accelerati che gli martellavano in petto.

 «Sai», iniziò Adrien, osservando il lampione creare forme di luce sulla superficie liscissima del vino, «sono contento di essere uscito da quel covo di serpi. Mio padre mi ucciderà, ma almeno per ora sto a posto.»

 Marinette gli fece un cenno col calice come a voler dimostrare solidarietà. «Mh, allora siamo in due.»

 «Ti ho messo nei guai con la... "Baronessa"

 La pausa che si concesse prima dell'ultima parola, il modo in cui la articolò con la lingua, le virgolette immaginarie mimate con il movimento delle dita – Marinette rise di gusto (Adrien perse uno o due di quei battiti accelerati).

 «No, non credo. È ingestibile, se la prende con tutti, specie con quelli sotto di lei, ma ho imparato come prenderla. Male che vada troverà nuovi nomi con la m da sostituire al mio», ironizzò.

 Nella mente di Adrien riaffiorarono le parole di Joëlle, la collega di Marinette dai cinquanta nomi, qualcosa su come nemmeno la Belladonna era tanto sciocca da offrire a Marinette un pretesto valido per licenziarsi. Adrien per una volta si trovava d'accordo con la Belladonna, ma nutriva le stesse perplessità di Joëlle.

 «Marinette, posso farti una domanda che ti sembrerà invadente?»

 «Spara.»

 «Perché lavori per quella donna? Sei bravissima, non hai bisogno di stare all'ombra di una che... una che ha il cognome di una pianta tossica. Mai nome fu più azzeccato, comunque.»

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