118. I love you

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(Vic's pov)

Amsterdam, gennaio 2024

La prima cosa che notai al mio risveglio fu che non avevo più freddo. Sentivo uno strano rumore. Bip. E percepivo una strana sensazione al braccio destro.

La stanza profumava di fiori. E alla fine decisi di aprire gli occhi per verificare di persona tutte le impressioni che stavo avendo.

La prima cosa che vidi fu una donna con un camice bianco. Aveva una cartellina in mano e stava scrivendo qualcosa.

Avevo qualcosa legato al collo che mi sosteneva il braccio destro, mentre nell'altra mano avevo un ago infilato con un tubo attaccato.

Improvvisamente ricordavo tutto: Damiano che mi chiamava, che urlava il mio nome, la pioggia, l'asfalto bagnato, i freni di un'auto. Qualcosa, qualcuno, che mi abbracciava e mi buttava a terra. Il buio.

«Damiano!»

Mi tirai su e presi a guardarmi intorno.

«Dov'è? Sta bene? È...»

«He's fine, Victoria», mi disse la donna accarezzandomi la spalla per tranquillizzarmi. «And you're fine too.»

Realizzai di essere ad Amsterdam solo in quel momento. Volevo chiederle dov'era, ma all'improvviso ero bloccata, sopraffatta da tutto, non riuscivo a trovare le parole.

«He's always been out there, waiting for you. I'll get him.»

Come se mi avesse letto nel pensiero, l'infermiera andò a chiamarlo.

Avevo un disperato bisogno di vederlo, di sentire la sua voce, della sua mano ad accarezzarmi la guancia, e volevo saperlo da lui che stava bene.

Tornai ad appoggiarmi sui cuscini, con la testa che mi scoppiava, senza però perdere d'occhio la donna vestita di bianco.

Qualche istante dopo, Damiano entrò dalla porta.

Notai la pelle pallida del suo viso, il polso fasciato. Sembrava tanto stanco.

«Ehy, sei sveglia.»

Per un attimo, giurai di aver visto i suoi occhi lucidi.

«Vieni qui», gli dissi facendogli spazio sul letto.

Invece si mise seduto.

«Non trattarmi come se fossi di cristallo, per favore.»

«Non voglio farti male, hai una spalla lussata, ma tutto sommato stai alla grande», mi sorrise.

«Per favore, vieni qui. Oppure mi alzo io per venire da te.»

«Dovresti starmi il più lontano possibile.»

«Ma che stai dicendo?»

Guardò me e poi il piccolo spazio che avevo fatto per lui, ma non si mosse di un millimetro.

«Non saresti dovuta venire. Se fossi rimasta a Roma tutto questo non sarebbe successo.»

«Non puoi sempre darti la colpa per tutto, Damiano. Non è stata colpa tua. Anzi, tu mi hai salvata. Sarebbe andata molto peggio se tu non mi avessi spinta a terra.»

Finalmente si appoggiò ai cuscini accanto a me e mi strinse tra le braccia, facendo attenzione alla mia spalla.

Restammo così, in silenzio, per minuti interminabili, con la sua guancia appoggiata alla mia testa e la sua bocca a lasciarmi dolci baci sui capelli.

«Tu stai bene?», gli chiesi.

«Sì, sto bene.»

Aspettai che aggiungesse qualcosa, ma non sembrava avere altro da dire. Stava lì, accanto a me, il corpo accoccolato al mio, ma sentivo che c'era qualcosa che non andava.

«Grazie», cominciai io.

«Per che cosa?», mi chiese con la voce strozzata.

«Perché ti preoccupi per me.»

Ero riuscita a sfiorargli la guancia con le labbra, prima che si staccasse da me.

«È tutta colpa mia.»

«Damiano, ti prego, smettila. Non è colpa tua», ribattei.

«Mi dispiace, Vic.»

«Tu non mi hai fatto niente. Mi hai salvata.»

Ma non voleva ascoltarmi, scuoteva la testa come se proprio non volesse sentire le mie parole.

«Sono stata io a venire qui.»

Gli presi il viso tra le mani e lo guardai dritto negli occhi. Volevo che capisse che stavo parlando sul serio, che doveva darsi pace, che non poteva prendersi la colpa di tutte le cose brutte che succedono nel mondo.

«Io ho deciso di venire qui, da sola. Avrei potuto dirlo anche a Thomas ed Ethan, ma non l'ho fatto, perché volevo venire da sola, volevo stare sola con te.»

Damiano continuava a guardarmi, rimanendo in silenzio.

«Sono egoista se ti chiedo di nuovo di tornare a casa? Per favore, Dam, torna a Roma. Ti prego. Io non ce la faccio senza di te.»

Scosse la testa, sfuggendo alla mia mano che gli accarezzava la guancia.

Aspettai di nuovo che aggiungesse qualcosa, ma invano.

«Dam...»

«Quante volte ancora dovremo affrontare questo discorso? Non è cambiato niente, Vic, e mai cambierà. Non possiamo...»

«Non sarà sempre così...»

«E invece sì!»

«Devi smetterla di fare così!»

Forse avevo esagerato a gridare in quel modo, ma anch'io ero stanca quanto lui di discuterne di nuovo.

«In questo rapporto non ci sei soltanto tu. Non puoi prendere le decisioni da solo.»

«Per favore, Vic, non rendere le cose ancora più difficili. Non riesco a stare tranquillo se tu fai così.»

«Torna a casa con me...»

«Non è così semplice.»

«Invece sì. O torni, oppure no.»

Aveva sorriso, ma era una risata cupa, un po' sofferta.

«Vorrei tornare...»

«E allora torna!»

Lo abbracciai, gli saltai addosso, incurante della flebo e della spalla che mi dava fitte lancinanti. Lo strinsi forte al mio cuore disperato che aveva bisogno di lui, della sua presenza nella mia vita.

«Torna a casa con me, Dam.»

Per lunghi secondi non si mosse, non parlò, sembrava quasi che nemmeno respirasse. Poi mi accarezzò il viso e mi baciò come se fossi la cosa più importante della sua vita.

«Che cosa vuoi che ti dica, Vic?», sussurrò a pochi centimetri dalle mie labbra.

«Dimmi che torni a casa con me, dimmi perché ad un tratto hai deciso di sparire dalle nostre vite, così, senza un perché. Dimmi...»

«Ti amo.»

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⏰ Ultimo aggiornamento: Oct 20, 2021 ⏰

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