Nelson's POV
Sento le sue braccia strette intorno ai fianchi. Le mie si sono messe intorno ai suoi, il solito dannato riflesso incondizionato.
La sensazione che provo non ha niente a che vedere con quello che mi sono immaginato più e più volte.
Nella mia testa lei tornava da me con i suoi splendidi occhi verdi in lacrime e dopo quattro moine ricominciavamo da zero come se nulla fosse accaduto. Perché in cuor mio, lo so, ci sarei tornato insieme anche se avesse fatto le peggio cose.
Ho sempre pensato che questo sarebbe stato un momento marcato a fuoco sulla pelle viva e invece mi scopro alquanto infastidito.
Ora che ci siamo, ora che il suo capo è di nuovo appoggiato al mio petto come ho desiderato per notti intere, non sento niente: non un brivido, non una farfalla nello stomaco, non l'improvviso batticuore che mi partiva standole accanto. Semplicemente qualcuno ha premuto OFF sul mio interruttore.
Quante dannate ore buttate a immaginarla nella mia vita come se non se ne fosse mai andata. Un po' come se alla sera, con il buio, rientrato a casa dopo una giornata di lavoro, mancassero solo poche ore al suo fare capolino dall'uscio tutta trafelata con le buste del vietnamita vicino casa.
Ma quella porta non si è mai più aperta, non mi sono più lanciato dal divano per stringerla e il suo nasino non ha più varcato la soglia.
Quello che vorrei fare ora è levarmela di dosso e vomitarle in faccia tutto l'odio che mi scorre dentro, l'astio nato ancora prima che mi lasciasse, quando la situazione era diventata insostenibile.
Eppure nonostante questo, resto immobile, le concedo questo abbraccio che entrambi sappiamo che non si merita.
Sei un idiota Nels. L'importante è che tu lo sappia.
"Nelsi, ti devo parlare, ti chiedo solo cinque minuti, poi non mi vedrai più." Accetto mio malgrado.
"Ok, ti ascolto!" Mi scanso e la fisso.
"Qui fa freddo, saliamo?" Annuisco, non mi sembra il caso di mandare a quel paese la mia ex sotto il naso curioso dei vicini. Faccio spallucce e iniziamo a salire le scale.
"L'ascensore è guasto!" Mento spudoratamente per evitare di ritrovarmi solo con lei in quel cubicolo.
Prendo le chiavi dalla giacca ed entriamo.
"Casetta ciao! Mi sei mancata, sai?!" Si sfila borsa e cappotto e li appoggia sul divano come se fosse ancora casa sua.
"Oh, ma non sei mai stata così in ordine!" Lo dice con quella vocina mielosa che, se chiudo le palpebre, mi sembra ancora di sentire tra le pieghe delle lenzuola dopo le nostri notti d'amore, o tra i caffè e le scorpacciate di baci sul divano al sabato mattina. Quando mi sentivo amato. Quante energie sprecate.
Passa con le mani sulla superficie morbida del divano, quelle stesse che mi hanno accarezzato il viso in momenti casuali delle nostre serate. Piccole, esili, perfette.
Si ferma in mezzo alla stanza, mi osserva, poi distoglie lo sguardo sospirando.
Avrei dato la vita per i tuoi occhi, ma anche questo non sarebbe stato abbastanza.
"Allora, che vuoi?" Mi siedo sul divano facendole cenno di sedersi per comandata cortesia.
Accavalla le gambe e si sistema meglio.
Il suo sguardo ha una luce che non riconosco, che penso di non aver mai colto o magari sono io che ora la vedo in modo diverso.
Tende imbarazzata una mano verso di me come per approcciare un discorso ma la scosto bruscamente.
"Scusa!" Chiede abbassando il capo e passandosi una mano tra i capelli.
"Mi dici cosa vuoi? Ne hai avute di occasioni per parlarmi, per rispondermi quantomeno, ma non te ne è mai importato niente." Dall'altra parte nessuna risposta.
"Non ti sei mai degnata di farti viva! Cos'é cambiato?"
Mi guarda, mi scruta in silenzio abbozzando un sorriso timido. Mi sudano le mani, inizio a spazientirmi. Non avrei mai dovuto farla salire. Per cosa poi?
Gli occhi le si fanno lucidi, stringe le mani in un pugno. Così strette che le nocche diventano bianche.
Dopo molti respiri si guarda intorno: "Ti vedi con qualcuno?"
Sgrano gli occhi: "Prego?"
Con la manica della felpa si asciuga il viso ma le lacrime non tardano a tornare: "Manchi Nels!"
Resto di sasso.
Sorrido istericamente: "Mi stai prendendo per il culo, vero?" Scuote il capo tra un singhiozzo e l'altro.
"Tu non puoi fare così, non puoi pretendere di suonare il fischietto e vedermi tornare come il più fedele dei bastardi. Mi dispiace ma non ci sto più a questo tuo giochetto!"
"Sono stata una stronza, lo so. Ci sei sempre stato, sei sempre stato presente..."
"Non solo, sono sempre stato presente, ma pendevo letteralmente dalle tue labbra, ero completamente succube di te. Ti avrei perdonato tutto, me ne sarei fregato di qualunque cosa, chitarra compresa perché, alla fine, rispetto a quello che c'è stato tra noi, quella è una cagata." Mi sistemo gli occhiali inquieto, ho la gola secca.
"Sarei anche passato sopra alle tue accuse sui regaz, perché quello è il mio cazzo di lavoro e non esiste una scelta da fare! È già presa!" Mi alzo per prendere una birra, voglio vedere quante stronzate pensa ancora che sia disposto a bermi.
"Ne vuoi una?" Annuisce. La mia mamma mi ha insegnato le buone maniere.
Le porgo una bottiglia. Mi afferra la mano: "Non l'ho capito subito, non stavo bene!" Le lancio un'occhiataccia.
"Il lavoro, i miei che stanno per divorziare..." Abbassa di nuovo il capo sospirando.
"Sono stato il tuo pungiball, me li sono presi tutti i tuoi sfoghi, senza fiatare!"
Tolgo la mano e ingoio un sorso: "Poi però i tuoi sfoghi si sono canalizzati su di me, su di noi. E non ne è più andata bene mezza. Qualunque cosa facessi o dicessi era motivo di discussione. Se non fossi stato così preso avrei messo io fine alla storia, che per la cronaca era già finita da tempo." Si stringe nelle spalle.
Continuo lanciato come un razzo: "So benissimo quanto faccia schifo essere figli di divorziati, non avere un posto da chiamare casa, non trovare nulla che ti faccia stare meglio! Io ero qui per te, per farti sentire a casa, per per..." Le parole non tardano a morirmi in gola. Mi mordo le labbra odiandomi.
"Nels..."
"Cosa? Cosa? Cosa? Nelson che cosa?" Ruggisco spazientito.
"Mi dispiace. Mi dispiace davvero. Non ero in condizioni di..." La voce si spezza anche a lei: "Lo so che può sembrare una frase fatta, ma..."
La blocco: "Sai, ho sempre pensato che come padre sarei stato un disastro, insomma lo sono come essere umano, figuriamoci come riferimento per qualcun altro!" Ammutolisce.
"Eppure ti avrei dato una famiglia se me l'avessi chiesto! Ti avrei sposata, avrei fatto qualunque cosa per te. Per dimostrarti che non tutto è merda, che possiamo imparare dagli errori dei nostri genitori e fare meglio!" Non l'avevo mai detto in maniera così diretta.
"Mi dispiace..."
" Tutto ciò che volevo eri tu. Ora è tardi"
"Nels, quello che provo per te, non è mai cambiato. Sei tu l'uomo della mia vita. Sono disposta a ricominciare, a lasciarci tutto il passato alle spalle, non finisce con una stretta di mano e un sorriso distratto."
Sorrido nervosamente: "Citare una mia canzone non ti farà riacquistare punti! Forse non ti è chiaro quanto io sia stato male per te. Nemmeno adesso, dopo mesi che te ne sei andata, te ne rendi conto."
Mi sistemo gli occhiali: "Mi spiace, non so che altro dirti. Tu sarai anche disposta, io no!"
"Perché...stai con qualcuno?" Insiste ancora.
Sbuffo e inizio a gesticolare nervosamente: "Se sto o no con qualcuno non è affar tuo. Io non sono più affar tuo. Siamo stati insieme è stato bello finché non lo è stato più e fino a quando non te ne sei andata sbattendomi la porta in faccia."
Dal nulla sbraita: "Sì, ma cazzo Nelson! Ti sto chiedendo scusa! Ti sto implorando di perdonarmi, di ricominciare. Ho messo da parte l'orgoglio e sono venuta qui. Varrà pur qualcosa? O no?"
Resto in silenzio fissando un punto indefinito della stanza. Ha messo da parte l'orgoglio. Che pensiero premuroso.
"Ora, vale meno di zero per me." Bisbiglio senza rivolgerle direttamente lo sguardo.
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E io sento te
FanfictionNelson, un cuore spezzato; un'anima fragile; un continuo buco nell'acqua dopo l'altro; un continuo stato di disagio. Nelson si sente così dopo la brutta fine di una relazione, una storia che lo ha segnato profondamente, perché ci aveva messo tutto s...