"Ho deciso di accettare quel lavoro."
Incredibile come cinque parole ti cambino la vita, tra un'insalata di kale e un toast all'avocado.
Sono in un locale fighetto sulla Quinta, Mikayla nella prima pausa pranzo che si prende da tre mesi e Anson con tre telefoni sul tavolino, come solo due veri newyorkesi possono fare, giusto? Giusto.
Sono riusciti persino a ricevere i piatti ordinati, prima che qualcosa interrompa il poco tempo che passano insieme. E non è il cercapersone di Mikayla.
"In... in che senso?" domanda Anson, strappato a forza dai suoi report di vendita giornalieri.
Che domanda stupida. In che senso vuoi che l'abbia deciso.
Mikayla sbuffa e si soffia via qualche ricciolo dal viso.
"Nel senso che mollo tutto e vado via, tesoro. Lo sai che aspetto questo momento da tempo."
Anson si passa una mano sulla faccia. Mika ha ragione ovviamente, e lui ha sempre saputo che per lei il lavoro viene al primo posto, prima di ogni cosa. Si sono piaciuti proprio per questo fin dal loro primo incontro, dieci anni prima con Mikayla ancora specializzanda e di guardia al pronto soccorso e Anson coinvolto in un incidente stradale più pirotecnico che effettivamente dannoso.
La loro storia è stata veloce e ha bruciato tutte le tappe e quando Mikayla è rimasta incinta nessuno dei due è riuscito a mettere in prospettiva cosa volesse dire per le rispettive carriere e per la piccola vita appena creata.
"E cosa dovrei dire a Daisy quando mi chiederà dov'è la mamma?" risponde Anson dopo qualche minuto, infastidito. La camicia lo sta strozzando ma non ha intenzione di slacciare il primo bottone. Il suo completo firmato è un'armatura di fronte all'aria sobria e pulita di Mika, vestita comodamente e pronta a cambiarsi per tornare in reparto.
"Le dirai che la mamma è a salvare delle vite, perché è quello che farò."
E certo. Dopotutto perché pensare alla figlia che ha appena imparato a infilarsi un cucchiaio in bocca, quando si possono salvare bambini iracheni dalla guerra?
"Dovevamo parlarne prima, Mika."
Mikayla solleva un sopracciglio e scuote la testa.
"Non mi freghi Anson, ne abbiamo parlato fin dal primo giorno. Amo la mia bambina, ma lei è al sicuro con te e tutte le babysitter che le puoi assumere. Certo non ti mancano i soldi. Io posso fare di più nella mia vita andando a Kobane con la spedizione pediatrica. Quelle persone hanno bisogno di aiuto, di tecniche chirurgiche pediatriche da poter applicare in ambienti difficili e delle nostre risorse. Non capisci cosa voglio dire?"
Certo, capisce benissimo. "Quindi preferisci abbandonare tua figlia in favore di altri? Devono farti madre dell'anno allora."
Lei scuote la testa, del tutto disinteressata alla cosa. "Non volevo avere una figlia, Anson. Voglio la mia carriera. E poi starà bene."
"Beh, direi che allora è il caso di separarci qui e ora" commenta lui, con una smorfia. "Chiamo il mio avvocato e risolviamo la questione per la custodia della bambina."
Se sperava che le sue parole generassero qualche forma di senso di colpa nella sua ormai ex fidanzata, Anson si sbaglia di grosso. Lei si limita ad annuire distrattamente, ben felice di sbolognargli l'incombenza e rispondere invece a uno degli smartphone sul tavolo.
"Scusa tesoro, ma è Phil che mi chiama" gli dice lei infatti e Anson cerca di non stringere i denti alla pronuncia dello stronzo che gli porterà via la madre di sua figlia per andare dall'altra parte del mondo. "Dai un bacino a Daisy da parte mia."
STAI LEGGENDO
Call me Daddy
ChickLitAnson viene lasciato dalla sua fidanzata che gli molla anche loro figlia in affido. Lasciato in mezzo a pannolini e riunioni aziendali, Anson deve trovare assolutamente una soluzione per gestire la piccola Daisy e tutti i soldi del mondo non bastano...