Chapter 3: The meeting

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Osservo con la testa tra le nuvole il panorama oltre al piccolo finestrino del lussuoso jet di Michael, tranquillizzata e sollevata dal fatto che Harry, come sempre aggiungerei, sta dormendo beatamente accucciato in uno dei sedili in pelle di fronte al mio, mentre suo fratello, come sempre, sta continuando a leggere indisturbato il suo libro.

Io, invece, non sono così molto calma come lo sono loro. I miei fratelli, i miei amici, sembrano essersi trasformati in un ricordo molto lontano ormai. Sepolto nella mia mente che sto disseppellendo con le mie stesse mani. Rivederli dopo tutto questo tempo, presentarli ai miei amati figli, non so cosa provocherà in me.

È ovvio che mi sono tutti, dal primo all'ultimo, mancati come l'aria. Sono stati una parte fondamentale per me e lo saranno per sempre.
Forse saranno proprio loro a riempire quel vuoto che ha regnato nel mio cuore da sette anni, così da riuscire a ristabilire l'equilibrio che avevo un tempo in me stessa.

Illusa, solo lui riuscirà a colmarlo.

Scuoto la testa, come se una fastidiosa mosca mi ronzasse intorno, per togliermi quella noiosa vocina all'interno della mia testa.
No, sono convinta che loro, la mia vera famiglia, riesca a ristabilirmi nuovamente.

Lui invece, in un remoto e ipotetico caso, riporterebbe a galla solo la vecchia me: quella circondata da inganni, tradimenti, sangue, violenza e atrocità, quella fredda, manipolatrice, in grado di spegnere i propri sentimenti a comando, guidata solo dalla rabbia ceca e ossessionata dal controllo.

Quella che non merita assolutamente nemmeno di osservare da lontano i due dolci bambini che sto guardando in questo momento.

E io non posso permettere di riportare quella persona travagliata e traumatizzata indietro dal passato. Devo evitarlo, in primis per i miei figli, e poi per il bene della mia persona.

Tiro un grosso sospiro frustrato, che taglia il silenzio come una lama affilata, e sobbalzo quando un'hostess bionda e dal fisico slanciato mi picchietta sulla spalla, coperta dal blazer di stoffa pregiata.

«Si?» chiedo io, osservandola distrattamente, interrompendo ogni mio pensiero.
«Mi scusi signora Turner, le vol-» comincia a parlare ma io la fermo, in modo rigido, subito dopo aver metabolizzato velocemente il modo in cui mi aveva chiamata.
«Per fortuna io e il signor Turner ancora non siamo sposati, quindi si limiti a chiamarmi Madison, per favore, signorina. Grazie» le faccio segno di continuare. Sentirmi chiamare in quel modo, mi faceva sentire piuttosto a disagio.

Lei, adesso ancora più in imbarazzo, abbassa lo sguardo guardandosi le punte dei suoi tacchetti in pelle.
«Le volevo solo riferire che tra 10 minuti atterreremo all'aeroporto delle isole Hawaii, signora Madison» dalla sua voce tanto sottile quanto dolce, deduco che sia una ragazza parecchio giovane.

La ringrazio e la saluto cordialmente, alzandomi poi per andare a cambiarmi. Mi ero preparata già da prima il vestito che volevo indossare, e l'ho fatto appositamente sistemare nello spazioso bagno del jet. È semplicemente un'abito mozzafiato.

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