CAPITOLO TRE

409 27 5
                                    

È evidente che non sto avendo le allucinazioni, questa è proprio la mia camera: il mio letto, il mio armadio, la mia cassettiera. A proposito, credo sia stata spostata, infatti, quando mi avvicino, noto che i libri che avevo nascosto sono scomparsi. Ho un brutto presentimento. Non avrebbe senso rimanere qui, quindi, mi dirigo in corridoio e scendo le scale che portano direttamente in cucina. Al tavolo sono seduti mia madre Natalie, mio padre Andrew, e mia sorella Beatrice. Noto che sono coinvolti in un'accesa conversazione, ma, quando arrivo, si bloccano e mi fissano. È mio padre a prendere per primo la parola, dicendomi in tono cupo «Siediti figliolo». Obbedisco, e, quando prendo posto accanto a Beatrice, i miei sospetti vengono confermati: sul tavolo vi sono tutti i miei libri. Sono molto nervoso, perché gli Abneganti sono tranquilli e gentili, ma non transigono su gli atti d'insubordinazione. Mio padre riprende a parlare, questa volta in tono neutrale «Perché hai nascosto questi libri?» mi chiede indicandoli. «Perché non ci è permesso tenerne» rispondo io con il tono più calmo che riesco ad utilizzare. «E allora cosa te ne fai se non puoi, come dicono le regole, usarli?» dice sempre con quel suo tono che non preannuncia nulla di positivo. Inizio ad agitarmi. Dovrei dirgli la verità, ma so che non sarebbe una cosa saggia, perché le ripercussioni sarebbero troppo dannose non soltanto per me, ma anche per tutti gli altri Abneganti. Infatti, appartenendo al governo, mio padre dovrebbe confessare davanti a tutta la fazione, che il proprio figlio ha infranto le regole. Inoltre, questo porterebbe, probabilmente, anche alla perquisizione di tutte le abitazioni, per controllare se, altri come me, tengono nascosti oggetti non considerati di stretta necessità. Molte persone, sarebbero quindi accusate d'infrangere le regole, e soprattutto sarebbero ritenute dei traditori della fazione. Inoltre, non voglio che la mia famiglia capisca, attraverso quella prova schiacciante, che non condivido le loro stesse idee, e che quindi presto la lascerò. Non voglio che soffrano prima del dovuto. Quindi alla fine, decido di raggiungere un compromesso con me stesso rivelando una mezza verità, cosa che mi permette di non sentirmi troppo in colpa. Mi rivolgo a mio padre guardandolo negli occhi, in modo da trasmettergli tutta la mia sicurezza, e permettendogli quindi, di non dubitare di me «Ho letto questi libri a scuola, ma ho dimenticato di lasciarli lì e, per sbaglio, li ho portati con me» dico. Vero è che li ho letti anche a scuola, e vero è anche, che prendendoli da lì, li ho portati con me. Sono sicuro che questa relativa verità sia la cosa giusta non solo per me, ma per tutti. Papà, mamma e Beatrice, fanno contemporaneamente un cenno della testa, e capisco così di averli convinti. Adesso posso anche abbassare lo sguardo, però, quando lo faccio, noto che non mi trovo più in casa, bensì in un vicolo buio.
Una sensazione di panico mi assale, quindi decido di andare verso la luce. Quando esco dal vicolo iniziando ad inoltrarmi nel cuore della città, noto qualcosa di assurdo: ogni superficie è tappezzata con la stessa foto di mia sorella, è ricercata. Non è possibile. Per quanto Beatrice possa essere strana, sono certo che non farebbe mai nulla di male. Dopo qualche minuto, sento qualcuno chiamarmi «Caleb, aspettami» mi grida correndomi disperatamente incontro. Solo quando è abbastanza vicino lo riconosco: è Robert Black, fratello di Susan e mio vicino di casa. Sembra esausto e, quando è abbastanza vicino da parlarmi senza urlare dice «Ti ho cercato dappertutto» dice ansimando. «Perché?» rispondo. «Scusami, non è evidente?» dice lui. Beh, certo che è evidente, la mia sorellina è ricercata ed io non so nemmeno il perché. «Cosa le è successo?» chiedo a Robert indicando una delle immagini di Beatrice. Lui con aria stupita mi risponde «Ma come fai a non saperlo?» poi, vedendo il mio sguardo perplesso, continua «Ha raggruppato tutti i traditori delle proprie fazioni, in un'altra che approva tutti i divieti che il governo ha noi conferito, creando scompiglio in tutta la città. Il sistema delle fazioni è entrato in crisi a causa sua, quindi, tutti si stanno impegnando nella sua ricerca per poi sopprimerla, se necessario, e ripristinare l'ordine delle cose». Gli Abneganti non sono molto capaci ad adoperare il tatto, sono devastato. Come può la mia Beatrice aver fatto qualcosa del genere? Non posso crederci. Non voglio crederci. Robert mi osserva con aria dispiaciuta «Mi dispiace tanto Caleb. Comunque, sono venuto a cercarti perché secondo il governo, sei l'unica persona che può convincere Beatrice a ragionare e, se non vuole farlo, ad ucciderla». Non potrei mai fare una cosa del genere, non a mia sorella. La amo troppo. Però, pensandoci bene ha infranto le regole e sicuramente va' punita, inoltre, la morte di una sola persona potrebbe portare nuovamente alla pace. Ho preso la mia decisione: andrò da lei e cercherò di farla ragionare e, spero vivamente che mi dia retta, perché vorrei tanto non adoperare la seconda opzione. Mi rivolgo a Robert con tono agitato «Portami da lei» dico. Lui non aggiunge altro e mi dirige verso il lato opposto della città. Quando mancano ormai pochi metri all'arrivo, capisco dove stiamo andando: ai confini della recinzione.
Anche in lontananza, noto molta gente sparpagliata sulla superficie del terreno incolto. Più lontano, intravedo una piccola costruzione male assortita, che potrebbe quasi ricordare un bagno pubblico fatto interamente in legno. L'istinto mi dice che è lì dove devo andare e così faccio: proseguo camminando da solo, dopo aver salutato con un sorriso improvvisato Robert. Dopo pochi secondi arrivo davanti la porta e busso. La voce di mia sorella dice «Avanti» strano che non chieda nemmeno chi sia. Obbedisco, e lei continua a parlare dicendomi «Lo sapevo che eri tu». Osservo la mia sorellina che stranamente è uguale a come la ricordavo, almeno fisicamente, perché nel suo sguardo qualcosa è cambiato. «Ciao» è l'unica cosa che riesco a dirle. Sono stranamente pietrificato, dopotutto è mia sorella e dovrei essere tranquillo, ma quella luce nei suoi occhi non è rassicurante. «Ciao. Se sei qui per farmi il lavaggio del cervello, dico no grazie» mi dice lei. Ci stiamo fissando negli occhi, quindi non mi accorgo che, nel frattempo, ha preso una pistola fra le mani che adesso punta su di me. «Beatrice che stai...» dico mentre uno sparo mi squarcia i timpani, e non solo. Solo dopo qualche secondo, ovvero quando il dolore arriva, capisco che mi ha sparato alla gamba. Crollo in ginocchio ed il sangue comincia a sgorgare dalla ferita. Non ci penso due volte e vado incontro a Beatrice attingendo a tutte le forze che mi sono rimaste in corpo. Lei mi da un pugno stordendomi, ma ho ancora abbastanza forza per contrattaccare, quindi le salto addosso e le blocco le gambe, mettendomi a cavalcioni su di lei. Che stupido, ha ancora la pistola in mano. Riesce infatti, a spararmi al braccio facendo sì che mi si annebbi la vista. Tuttavia resisto e le strappo di mano la pistola puntandola alla sua tempia. «Sapevo che non potevo fidarmi di nessuno, nemmeno di mio fratello» dice lei con un filo di voce. Riesco solo a dire con le lacrime agli occhi «Perché?» prima di premere il grilletto.

The Divergent series: CalebDove le storie prendono vita. Scoprilo ora