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Erano trascorse tre settimane dall'assalto delle forze di polizia di Seoul al Black Ink, che avevano portato all'arresto di Kim Young e della maggior parte dei suoi seguaci. Ventuno giorni di inferno per Kim Namjoon e Kim Taehyung, che insieme - come capo della polizia e procuratore in carica - avevano dovuto partecipare e testimoniare al processo per mettere una volta per tutte la parola fine a quella brutta storia e far archiviare il caso con una pena di trent'anni di carcere per il padre del giovane procuratore, finalmente in manette. Cinquecento quattro ore da quell'incidente che aveva costretto Jungkook ad un lettino d'ospedale e a qualche noiosa ma necessaria seduta di riabilitazione per rimettere completamente in sesto la propria gamba, mentre la sua mente ed il suo cuore erano rimasti al momento in cui una ragazza di nome Kim Jieun aveva finalmente confessato di amarlo. Trentamila duecento quaranta minuti che comunque non erano bastati invece a Jieun per cancellare dalla sua mente il ricordo di quelle immagini che, puntualmente, ogni notte, tornavano a torturarla, facendole perdere il sonno e togliendole le forze. Le uniche motivazioni che ogni mattina ancora la convincevano ad alzarsi dal letto erano riuscire ad assistere al processo contro Kim Young e poi, dal tribunale, farsi una passeggiata a piedi fino all'ospedale più vicino solo per accertarsi delle condizioni di Jungkook. Anche se, di tutte le volte che era andata a trovarlo, solamente in un paio di occasioni i due erano riusciti a scambiarsi qualche battuta, grazie soprattutto al tempestivo intervento di Jimin e Yoongi che non mancavano (come lei) a nessuna visita. La maggior parte delle volte che Jieun arrivava davanti alla sua stanza qualcosa si aggrovigliava nel centro del suo petto, costringendola ad accontentarsi di vedere Jungkook sorridere all'infermiera di turno o guardando anime davanti allo schermo di un televisore. E le poche volte che Jieun aveva trovato il coraggio di entrare in quella stanza aveva dovuto lottare con ogni suo muscolo per non sembrare né invadente né troppo distaccata. Non voleva parlare di quello che era successo e di ciò che aveva detto in presenza degli altri e, soprattutto, non quando Jungkook era ancora sotto osservazione in ospedale. Continuava a ripetersi che ci sarebbe sicuramente stato il modo e l'occasione giusta anche se, nel frattempo, erano trascorsi ventuno giorni e quella stretta al petto cominciava davvero a pesare come un macigno.

Continuava a ripeterselo Jieun, ascoltando per ore ed ore podcast motivazionali nella vaga speranza e convinzione che, in quelle parole, avrebbe trovato il coraggio per sostenere gli sguardi (di qualunque natura essi fossero) di Taehyung e Jungkook: con entrambi ormai sapeva di avere un conto in sospeso da troppo tempo e che ormai non era più possibile procastinare, per il bene di tutti. Ma per quanto si fosse convinta di aver già fatto la sua scelta, la parte razionale della testa di Jieun si risvegliava di tanto in tanto per farle capire che doveva ancora parlare ai diretti interessati.

Persa in queste filosofiche elucubrazioni della sua mente, la giovane detective venne risvegliata dal suo stato catatonico solamente quando, sdraiata da ben più di qualche ora sul suo letto ancora sfatto, non avvertì qualcuno suonare alla porta di quell'appartamento che condivideva insieme al fratello Namjoon.

— Nam puoi aprire tu per favore? Manca un minuto alla fine di questo podcast, — gridò lei dalla camera al piano superiore, sapendo perfettamente che, per sua pigrizia, Namjoon avrebbe dovuto alzarsi al posto suo e andare ad aprire.

— Jieun, è per te, —

Solo alla telegrafica e atona risposta del fratello, la giovane si sentì vagamente in colpa per averlo fatto alzare dal divano del salotto costringendolo ad appoggiare chissà quale nuovo libro solo per accontentare le sue sciocche motivazioni. Ma il senso colpa provato per Namjoon non avrebbe in alcun modo potuto sostenere quello provato da Jieun una volta scese le scale che dalla sua camera portavano all'ingresso della casa.

Kim Taehyung se ne stava al centro del corridoio in un elegantissimo completo grigio, un colore che metteva in risalto non solo la sua pelle, ma anche quei grandi occhi a mandorla e quei capelli corvini, tenuti ordinatamente in una perfetta piega. Tra le mani, il giovane procuratore stringeva uno splendido mazzo di fiori bianchi.

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