55. Juliet to your Romeo

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Sono immersa nel bel mezzo del tornado di vestiti scoppiato in camera mia, quando il campanello di casa suona facendomi sobbalzare sul posto. Sto per urlare a mamma di aprire lei la porta, ma ricordo di essere rimasta sola in casa, quindi mi alzo dal pavimento e mi precipito giù per le scale, rischiando anche di saltare dei gradini.

Sto aspettando un pacco con sacchetti per vestiti da mettere "sotto vuoto" ordinato oramai settimane fa.
Nelle mie valigie non ci sta più nulla e sto cercando ogni posizione possibile in cui mettere le cose e risparmiare spazio.

Ci sono riuscita? Ovviamente no.

Mi ricordo troppo tardi di avere addosso soltanto una delle vecchie magliette di mio fratello, fortunatamente lunga fino alle cosce, ma pur sempre bianca e rovinata.
E come ogni volta, non indosso alcun paio di pantaloncini. Il reggiseno me lo sono concesso soltanto perché sono prossima al ciclo e mi sento far male ogni centimetro di pelle che rimane sospeso.

Apro la porta di uno spiraglio, cercando di sbirciare oltre ad essa. La forte luce calda del pomeriggio mi si incastra nello spazio vuoto tra le sopracciglia, poco sotto al centro della fronte. Socchiudo un occhio, arricciando il naso verso l'alto come se servisse per farmi vedere meglio.

«Ciao» la voce candida e pacata di Scott mi fa sentire subito meglio.

Proprio come fosse una connessione mentale che avviene senza controllo, appena lo sento parlare, anche la sua figura prende forma nella mia mente e gli occhi riescono a metterlo chiaramente a fuoco. Lo sbircio con ancora la porta socchiusa e le mani aggrappate allo stipite leggermente scheggiato e smussato da tutto le volte in cui è stato sbattuto.

Il mio ragazzo si trova in piedi sul portico, con una sacchetto in una mano e l'altra immersa nei capelli folti e umidi.
Si passa le dita tra le ciocche con fare distratto ma tenace, cercando di farle rimanere nel posto in cui lui vuole, con poco successo.
Un sorriso genuino e accogliente gli alleggerisce i contorni smussati del viso, incastonato in una miriade di effetti chiaro scuro generati da ombre di alberi e spiragli di luce di finestre spalancate che riflettono l'acqua fresca degli irrigatori spruzzanti.

Oggi ha la barba lunga. Gli dona. Il colorito marroncino si distende a macchie omogenee e precise lungo le guance, così come il mento e il segno ovale che cinge il labbro superiore.
Il forte profumo di bagnoschiuma e colonia mi suggerisce che deve aver da poco finito il turno ed deve essersi precipitato a casa mia dopo una doccia veloce.

Mi ricordo solo adesso di non avergli risposto all'ultimo messaggio. Ero impegnatissima con la situazione valigie, per cui tra l'altro ho pure avuto un pianto isterico. Arrivare alla consapevolezza di non riuscire a portarsi dietro un'intera casa a dodici giorni dalla partenza, non è stato un buon inizio di giornata.
Mi correggo, è stato orribile e snervante.

Gli occhi verdissimi di Scott mi guardano con pazienza ma trepidazione. Lo sto fissando da una buona manciata di minuti senza dire niente e senza farlo entrare. E lui mi aspetta.

Mi prendo ancora qualche secondo per perdermi nella chiarezza profonda delle sue iridi brillanti, smarrendomi nella lunghezza ingiusta delle sue ciglia e nella maniera perfettamente armoniosa in cui le palpebre si stirano quando sorride e le sopracciglia si alzano di alcuni saltelli.

Poi faccio due passi indietro e spalanco completamente la porta, rivelandogli finalmente la mia figura disastrosa. Lui mi rivolge una fugace ed attenta occhiata, senza badare al disordine che porto addosso, dopodiché muove le gambe lunghe e oltrepassa la soglia.

Mi sovrasta con la sua altezza rassicurante e io mi sento immersa in una bolla di acqua senza ossigeno.
Piega leggermente il busto, alcune strisce di capelli gli ricadono sulla fronte, lui le lascia perdere.

PATENTE E LIBRETTO, SIGNORINA.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora