Di parole mai dette

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Mattia non si capacitava di come le cose fossero precipitate così, da un momento all’altro, rendendolo d’un tratto fragile. Anzi, forse lo sapeva benissimo, ma la remota possibilità che questa responsabilità potesse convogliare in sé lo faceva sentire male, non potendo capacitarsi che l'artefice del suo dolore fosse egli stesso, quindi evitava di pensarci, cercando altri escamotage che abbiano fatto andare tutto in fumo. Quando si convive costantemente con una persona è difficile che non insorgano problematiche, dettate dal troppo tempo passato assieme e dal bisogno di staccare la spina, allontanandosi dagli altri e cercando libertà nella proprio stessa mente, molte volte detentrice di dolore ancor più forte di quello fisico, però, quando la convivenza avviene tra più persone queste dinamiche si quadruplicano, rendendo l’ambiente fitto di angoscia e tristezza, divenendo consapevoli che le persone con cui hai legato, in verità, stanno con te soltanto per esigenza e per evitare di rimanere soli. Era per questo che fin dal principio si era isolato, andandosi a riparare da questa ansia sociale che lo mangiava da dentro rendendolo insicuro di sé stesso, riuscendo però, in mezzo a tutta quell’oscurità, a trovare delle braccia sicure che lo facessero sentire a casa, nonostante questa fosse a molti chilometri da lui.

Sua mamma gli mancava molto, era sicuro che gli avrebbe dato uno dei tanti suoi consigli, sul non farsi abbattere e di rimanere sempre sé stesso, come se fosse, quest’ultimo, possibile quando ti trovi all’interno di un programma televisivo. Nonostante non volesse ammetterlo, tutti lì dentro si erano costruiti un personaggio, giusto per tentare di piacere di più a casa. Questo lo faceva sorridere, chiedendosi se anche lui, inconsciamente, si fosse trasformato in un’altra persona. Giulia, sua mamma, sicuramente gli avrebbe detto di no, che rimaneva sempre il suo piccolo bambino timido che non voleva staccare la manina dalla sua, perché lui, di voglia di andare all’asilo, lontano dalla sua mamma, non ne aveva. L’unica persona la quale era convinto che non si fosse trasformato in qualcun altro, in cerca di fama o approvazione, era l’unica per la quale avesse mai sentito bruciarsi dentro, come se il suo corpo fosse ricoperto di benzina e l’altro ragazzo fosse il fuoco, pronto ad abbattersi su di lui, facendolo esplodere e ardere, rendendolo più vivo e forte, come non mai.

Le braccia sicure, e il suo rogo, di cui parlava appartenevano al suo migliore amico all’interno della casetta: Christian. Lui era tanto timido quanto lui, ma che quando c’era bisogno, la voce, la sapeva tirare fuori, anche nei modi peggiori, attirandosi cattiverie su di lui; anch’egli era introverso, difatti i due si erano avvicinati perché il maggiore non voleva attirare attenzioni su di lui e, visto che tutti avevano legato con Nunzio, lui si era avvicinato al piccolo, chiedendogli se volesse mangiare insieme a lui qualcosa. Fu lì che cominciarono a diventare inseparabili, raccontandosi tutto e non riuscendo a pensare ad un futuro privo dell’altro. Il moro aveva gli occhi più grandi che avesse mai visto nella sua breve vita, sentendosi, ogni volta che il maggiore li posava sopra la sua figura, esposto, come se ad un tratto, fosse divenuto il capro espiatorio di qualche omicidio, come se gli avessero messo un cartello sulla testa rendendolo sciatto e stupido; perché così si sentiva ogni volta che gli stava affianco, inferiore, amareggiato e triste, si, perché anche lui voleva essere guardato, nello stesso modo in cui Jack faceva con Rose, Sam con Molly ed Elio con Oliver, da Christian.

I primi mesi furono una benedizione per il piccolo della casa, studiava, riposava, ballava, passava del tempo col moro, non avrebbe potuto chiedere di meglio, anzi, però, avrebbe potuto, e se ne accorse un giorno, quando un leggero raggio di luce era entrato nella loro camera e vi si era posato sulla guancia del maggiore, mostrando ancor di più le sue lentiggini, e mettendo in rilievo le sue labbra rosee. Al biondo su due piedi venne da rimanere incantato, non ricordando nemmeno lui per quanto tempo, e con un leggero “cazzo” sussurrato, si era portato una mano in fronte, chiedendosi perché stesse notando quelle cose del suo compagno. Ecco cosa poteva chiedere di meglio il biondo, la cotta che si era preso per il moro, del tutto non richiesta e non necessaria, ma che lo aveva investito di botto, portandosi dietro tutto ciò che poteva convogliare insieme a lui. Il solo pensiero di poterlo guardare da lontano lo appagava, non pienamente ma sicuramente più di perderlo, sentendolo distante, solo perché finalmente, qualcuno gli aveva cominciato a dare delle attenzioni, rendendo acqueo il cuore del piccolo, sentendosi importante, per una volta, andando ad amplificare qualcosa di ancora non ben noto nemmeno per lui, ma che sapeva che lo avrebbe accompagnato da qui, fino alla fine, perché puoi togliere tutti i fiori dal mondo, ma non fermerai la primavera.

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