Capitolo 3

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E a ripensare ancora a quante volte fui stato maltrattato, a quante volte fui stato preso in giro, deriso, picchiato, mi viene solo tanta rabbia. Era per colpa loro se ero diventato praticamente un mostro. È stato per colpa loro se sono stato rinchiuso in quel posto orribile, essendo frustato o sottoposto all'elettroshock se non eseguivo un loro ordine, per tanti anni. Eppure ero così perfetto: avevo dei bei voti, avevo tanti amici che mi volevano bene, avevo tanti ragazzi e anche ragazze ai piedi che, anche se le ragazze non mi interessavano, era bello avercele e sentirti apprezzato; ma non sono stato io a cambiare me stesso, sono stati loro a farmi diventare questo ragazzo che sono adesso: mi definiscono killer, assassino, pericoloso, violento, pazzo, chi più ne ha più ne metta insomma. 'Loro' sono tutti, la mia famiglia, i miei compagni di scuola, i miei amici. La mia famiglia è al primo posto in quanto riguarda i maltrattamenti: mio padre mi picchiava sempre, picchiava me, mia sorella e mia madre, anche quando un motivo non c'era, doveva farlo. Era il suo unico scopo in quella casa. Certe volte mi chiedevo quale sarebbe stato il suo passatempo se io non ci fossi stato.

C'era un episodio in particolare che mi ricordavo in ogni dettaglio, accadde circa un mese prima dell'accaduto che mi portò a farmi rinchiudere nell'Hanwell...

Oggi la scuola è stata più noiosa del solito, non è successo praticamente niente. Per fortuna mancano pochi mesi all'università in Australia, almeno non vedrò più tutte queste solite persone, magari qualcosa cambierà.

Nella metro ci sono persone davvero strane.

Per esempio, c'è questo signore seduto di fronte a me che non la smette di fissarmi. "Che hai da guardare?"

Mi giro dall'altra parte, ma nonostante questo sento che mi sta guardando ancora. Lo guardo con la coda dell'occhio e sta ancora continuando a guardarmi. "La smetti?"

Mi alzo e vado più dietro. Non ci sono posti a sedere, quindi resto in piedi. Mi giro verso il signore di prima per controllare se mi sta guardando ancora, ma per fortuna no.

"Ti prego, non rispondere." Accanto a me, in piedi, c'è una signora a cui suona il cellulare. Sapete quelle persone che gridano quando parlano al cellulare, pensando che se non gridano le parole non entrano nel cellulare e non arrivano alla persona con cui stanno parlando? Ecco, queste persone sono tutte radunate in metro. Devono sempre dar fastidio.

Finalmente siamo arrivati alla mia fermata. Il sole di oggi è davvero troppo forte, e ho anche scordato gli occhiali da sole a casa, sta mattina.

"No..." C'è una macchina nera parcheggiata fuori dal nostro cancello... È quella di mio padre.

Prendo le chiavi dalla tasca dei miei jeans neri, cercando di non fare rumore estraendola dalla serratura. Chiudo la porta alle mie spalle e cammino silenziosamente verso le scale, sperando di non incontrare mio padre. Mi giro verso la cucina e lo vedo. È lì; sta guardando la televisione. Mi volto verso le scale e corro in camera mia, chiudendomi a chiave.

Bussano alla porta.

«Chi è?» Chiedo, cercando di sembrare tranquillo mentre sto per morire all'idea di quello che potrebbe farmi mio padre.

«Apri.» Dice, arrabbiato.

Mi alzo dal letto e cammino verso la porta; apro e mi guarda, come sempre, con l'aria di uno che ha appena ucciso una persona ed è ancora mezzo scioccato e mezzo arrabbiato.

«Che c'è?» Chiedo, sempre con calma.

"Oddio..." Entra in camera e si siede sulla punta del letto.

«Non si saluta quando si entra?» Inizia a parlare, e diventa ancora più serio. Provo a rispondere ma non riesco, continua subito dopo.

«Eppure te le ho insegnate le buone maniere, o mi sbaglio? Però..» Si alza in piedi, mettendosi le mani dietro la schiena, guardandomi.

Dangerous (Larry Stylinson)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora