What if...?

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E se fosse questa l’altra vita?

Mattia si portò l’indice alle labbra, andando a strapparvi una pellicina che lo stava facendo penare, non riuscendo a toglierla senza far uscire del sangue. Immediatamente un sapore metallico si depositò sulla sua lingua, facendogli allontanare la mano, costringendolo ad andare a bere un bicchiere d’acqua, trovando il sapore dell’emoglobina non molto piacevole. Il biondo era frustrato, in altre occasioni non si sarebbe dato il tormento, cercando di provocarsi dolore volontario, ma in quel momento, la consapevolezza di aver fatto un casino lo stava mangiando vivo. Aveva veramente ansia di star sprecando un’occasione che non gli sarebbe più ricapitata. Tale avvenimento non era veramente accaduto, era tutto frutto della sua malsana immaginazione che lo aveva portato a credere che il mondo, la produzione, gli amici ce l’avessero con lui. In fin dei conti, invece, le cose andavano bene, Todaro era fiero dei progressi del ragazzo, andava d’accordo con Maria, trovandola come una seconda mamma ed anche il rapporto con i compagni della casetta andava a gonfie vele; ma, nonostante ciò, si sentiva gravare qualcosa addosso, come se l’opportunità della sua vita ce l’avesse di fronte e non riuscisse a conquistarla, come se lui avesse fatto fuoricampo ma le sue gambe non si muovessero dalla casa base. Non capiva nemmeno se tali sentimenti fossero nei confronti della danza.

“Fanculo” aveva biascicato il biondo, andandosi a sedere sul divanetto in veranda. Era sera e la rugiada spiccava sugli alberi e sul prato, rendendo quel clima di fine novembre quasi piacevole e pittoresco. Aveva sbuffato passandosi una mano tra i capelli, tirandoli leggermente, e con un sonoro lamento, aveva buttato la testa indietro.

I suoi occhi rimanevano fissi verso un punto a lui sconosciuto, chiedendosi il perché in quei giorni tutto stesse andando male, come mai fosse così tanto distratto, al perché non riuscisse ad aprirsi con gli altri. Da quando era entrato lì dentro era stato dichiarato come l’anima della festa, essendo colui che incitava al baccano, alle risate ed alla felicità, facendo esaltare i suoi compagni di casetta, rendendo l’ambiente più tranquillo. In quel momento, però, Mattia si sentiva più l’animatore di un funerale.

Aveva inclinato la testa di lato, guardando la porta, sperando che qualcuno potesse uscire da lì, prenderlo per mano e farlo tranquillizzare da quella marea di pensieri che aveva in testa. Si sentiva così frustrato che quasi avrebbe tirato una testata al palo di ferro che aveva davanti. Sbuffò nuovamente, dandosi del ridicolo, constatando che, in verità, non voleva proprio nessuno che uscisse da quella porta, se non il suo compagno di stanza, che lo stava facendo andare fuori di testa. Forse erano le lentiggini, quelle adorabili macchioline che aveva sul volto e sulla schiena, oppure la sua calma, il suo essere sempre tranquillo, mai di parte, sempre con una frase intelligente da dire, mai fuori luogo. Tutto ciò faceva incazzare Mattia, non sopportando che la sua permanenza in quella casetta fosse dettato dal suo più profondo e radicale istinto di sentire quel ragazzo sulla sua pelle, il più vicino possibile.

Questa situazione lo faceva anche ridere internamente, pensando che il karma gli stesse giocando proprio un brutto tiro, proprio perché, durante i casting, il biondo aveva fatto amicizia con un ragazzo, e con quest’ultimo aveva definito il bergamasco privo di personalità, pensando che lui non dovesse entrarvi nel programma, ed ora si faceva talmente tanto influenzare dallo stesso ragazzo che non riteneva degno lì dentro, a tal punto da non riuscire nemmeno ad essere felice se non in sua presenza.

“Che palle” mugolò, distogliendo lo sguardo dalla porta, constatando che da lì, proprio nessuno vi sarebbe uscito. Si chiedeva dove fosse finito il moro, perché non lo stesse cercando, o almeno pensando, come faceva lui, costantemente, sentendolo fin dentro le viscere, un blocco allo stomaco che non gli permetteva di stare tranquillo.

Si chiedeva dove fosse finito il vecchio sé, quello che andava in giro fregandosene delle altre persone che lo guardavano, cercandolo, desiderandolo, giovandone di ciò, facendolo sentire onnipotente, come se il mondo fosse ai suoi piedi. Sapeva di essere bello, e soprattutto di piacere, e non negava che ciò gli facesse piacere, amava sentire il suo ego allargarsi di giorno in giorno, e voleva che questo andasse avanti così. Nonostante tutto questo, era abbastanza insicuro e quindi lui necessitava di tutti quei pregi che gli altri associavano alla sua figura, facendolo, quasi, per un secondo, sentire adatto. Invece ora, queste certezze, non le aveva più, non si sentiva più abbastanza e la competizione, che probabilmente pesava solamente su di lui, si stava facendo sentire, schiacciandolo, opprimendolo e schiavizzandolo. Era consapevole che ci fossero altre persone brave, se non di più, all’interno della casetta, e non si sentiva più il protagonista della sua vita. Istintivamente i suoi pensieri finirono verso il moro che oltre che essere bravo, gentile ed intelligente, gli stava anche dannando il cuore, facendogli dubitare di ogni certezza, che fino a quel momento, aveva avuto.

Di parole mai dette [Matian]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora