Aprii la porta e me lo ritrovai lì, sulla soglia di casa del mio manager; scrutava entrambi senza dire una parola. Ormai non riuscivo più a comprendere cosa mi tormentasse di più: se le parole pungenti di Victor, che si insinuavano in me e si impadronivano del mio orgoglio come l'inchiostro sapeva prendere possesso dell'acqua, mutandola per sempre. Oppure lo sguardo deluso e ferito di Michael nel vedermi vicina ad un uomo che non fosse lui. Una piccola parte di me, lontana dal senso di colpa, malgrado tutto era appagata dal fatto che lui potesse provare la stessa gelosia e lo stesso malessere che avevo provato io per l'intera giornata.
Allungò il braccio verso di me con l'intento di porgermi un biglietto, accompagnato da un fastidioso silenzio.
Sprofondai nella lettura di quelle frasi.
"Tesoro, ho la sensazione che non tornerai stasera, ma spero di sbagliarmi. È stata una brutta giornata per me e probabilmente una peggiore per te. Ne sono sicuro, perché la mia brutta giornata significa che tutti i miei problemi sono stati scaricati su di te. E questo non è giusto, non lo è affatto. Perdonami. Ma spero che tu sia qui a leggere questo messaggio e di trovarti quando mi sveglierò. Improvvisamente mi sembra stupido cenare senza di te.
Perché, che tu ci creda o no, ancora ti amo."
Ero tentata dal lasciarmi andare in un sorriso, intenerita dal suo modo di fare; ma mi frenai, sapendo di aver anch'io scritto qualche pensiero in una breve pausa durante il viaggio in macchina. Lì capii che nonostante le nostre divergenze, nonostante molto spesso non riuscissimo a comunicare, avevamo lo stesso modo di esprimerci.
Fece per andarsene, dopo avermi voltato le spalle; mi sporsi fuori dall'uscio e lo guardai allontanarsi.
Michael.
«Michael!» sentii la sua voce tuonare mentre marciavo sul vialetto di casa del suo manager e non potei fare a meno di voltarmi.
«Aspetta!» camminava rapidamente in modo goffo sui suoi tacchi a spillo per raggiungermi.
«Che ci fai qui?» mi domandò una volta a pochi centimetri dal mio volto.
«Ero venuto qui per te, ma evidentemente hai altro a cui pensare.» la squadrai un'ultima volta prima di riprendere il passo. La sentii sbuffare e ridacchiare.
«Possibile che tu non capisca? Non me ne frega di stare qui, neanche un po', anzi proprio per niente.»
«E allora perché diavolo sei qui??» mi alterai.
«Sono qui perché sono furiosa con te. Perché continui a buttarmi fuori da ogni cosa che ti riguarda ma poi quando me ne vado di mia spontanea volontà ritorni a cercarmi. Non mi parli ma pretendi che io lo faccia. Ti godi gli sfavillanti eventi mondani accompagnato da donne bellissime ma se io vado a cena dal mio manager vieni qui sbattendo i piedi, con le braccia conserte e le sopracciglia corrucciate come se io ti dovessi delle spiegazioni o dovessi chiederti il permesso.»
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•Falling In Love Wasn't My Plan•
Fanfiction**IN CORSO** Cloe Isabella Willick è alla soglia dei suoi 21 anni quando lei e la sua migliore amica partono da Roma per tornare nella loro città natale, Los Angeles. Cloe scrive da quando era bambina e sogna di diventare cantante. Negli anni succes...