[Ryujin's p.o.v.]
«Yeji, io esco!» urlo mentre mi infilo il cappotto.
«Sta' attenta, cogliona!» risponde lei dal salotto. Come ogni sera, se ne sta sdraiata sul divano a vedere quei programmi stupidi per vecchiette pettegole.
«Vaffanculo!»
«Vaffanculo a te!» dopo esserci salutate, seppur a modo nostro, esco dal nostro appartamento sgangherato. Da un paio di mesi abbiamo trovato questo posto in cui stare che si trova nelle periferie dei peggiori quartieri di Seoul. Io e Yeji, la mia migliore amica, siamo ex tossicodipendenti. O almeno, lei lo è. Io non ho mai smesso perché niente e nessuno riesce a farmi stare bene come lo fa la droga ed è proprio per questo motivo se ogni sera esco da sola. Non voglio che Yeji lo sappia perché sicuramente perderei anche la fiducia dell'unica persona che mi è rimasta, infatti sto sempre ben attenta a ciò che faccio o dico; so che tutto questo non potrà durare ancora a lungo ma, finché la mia copertura regge, allora posso lasciarmi andare.Metto il cappuccio sopra la testa e furtiva mi intrufolo dentro uno dei primi vicoli che trovo.
«Dammi il solito» dico con voce profonda mentre, senza farmi vedere, passo all'uomo davanti a me le solite cinque banconote, ossia un quarto del mio stipendio. Ed ecco il motivo per il quale sono costretta a fare affidamento su Yeji per arrivare a fine mese. Lui in cambio mi dà le dosi che mi spettano, per poi sparire nuovamente nel buio. Nascondo nelle tasche le piccole bustine che contengono il mio veleno preferito e mi dileguo il prima possibile a passo svelto.
Le strade questa notte sono particolarmente deserte, perciò anche i controlli saranno sicuramente di meno e questo non può essere altro che un punto a mio favore. Mi reco sotto un ponte sul quale passa una delle vie principali di questo quartiere di merda: un posto abbandonato e perfetto per spacciare o consumare droga in santa pace. Saltello allegra nell'oscurità fino ad arrivare ad una sorta di piccola discarica a dir poco abusiva dove si trova un tavolo mezzo rotto che ho personalmente sistemato appositamente per le mie esigenze. Spargo sul ripiano di legno rovinato e crepato del tavolo le mie bustine e comincio a prepararle.
«Ehi, c'è qualcuno?» una voce che non riconosco interrompe bruscamente le mie azioni.
«Merda...» sussurro prima di fare su tutte le piccole buste con una mano per poi andarmi a nascondere dietro una delle grandi pile che sostengono il ponte. Fanculo, questa proprio non ci voleva.
«Ti ho vista venire qui, quindi so che ci sei» continua la voce che non conosco poco dopo. Come ha fatto ad accorgersi che sono venuta qui? Sono stata attenta a non farmi vedere o seguire da nessuno. La voce femminile della figura che avanza tace quando i suoi passi timidi si fanno strada verso di me. Cazzo, ora cosa faccio?
«Va bene, hai vinto tu» affermo sempre nascosta nell'oscurità. Devo inventarmi qualcosa per imbrogliarla e assicurarmi che non sia uno sbirro.
«Ora esco di qui, ma tu dei avanzare ancora di qualche passo» dico mentre lentamente mi sposto lungo la circonferenza della pila in modo da riuscire a sorprenderla alle spalle. La ragazza fa come le dico, da brava idiota: la prima cosa da fare è non prendere ordini da nessuno, ecco cosa mi ha insegnato la vita. In men che non si dica, le circondo il collo con un braccio e blocco il suo corpo con l'altro, senza mostrarle il mio viso.
«Chi cazzo sei tu?» le chiedo a denti stretti cercando di incuterle terrore.
«L-lavoro nella caffetteria v-vicino a casa tua» risponde lei mentre prova ad allentare la mia presa attorno al suo collo. Forse non dovrei stringere così tanto, ma se devo essere sincera non me frega un cazzo.
«E come fai a sapere dove vivo?» le chiedo aumentando la pressione sulla presa.
«Ti v-vedo uscire d-a lì tutti i-i giorni» replica lei con voce spezzata e le gambe che tremano. Effettivamente quello che ha addosso è un grembiule da barista, quindi dubitare delle sue parole non avrebbe senso. La spingo in avanti in modo da essere totalmente coperte dall'ombra creata dal ponte, poi la lascio libera.
«Non devi dire a nessuno di avermi vista qui, intesi?»
«Va bene...» il suo sguardo impaurito incontra il mio freddo e indifferente, ma qualcosa dentro di me si muove. Ha degli occhi stupendi.
«Come ti chiami?» le chiedo mentre prendo una sigaretta accendendola subito dopo ed aspirando per alleggerire la tensione che ho provato fino a poco fa.
«T/n» dice lei mentre osserva di tanto in tanto i miei movimenti disinvolti.
«Tu, invece?»
«Non ti è dato saperlo» la zittisco prima che dalla mia stupida bocca possano uscire delle fesserie e mi dirigo verso il tavolo sul quale ora è sparsa la mia adorata polverina bianca. Che cazzo, me l'ha fatta sprecare quasi tutta.
«Non avevi smesso?» chiede lei dopo poco, riferendosi alla droga. Ma chi accidenti è questa persona? E per quale fottuto motivo conosce tutte queste cose di me?
«Scusa ma tu come cazzo fai a saperlo?»
«Io sono uscita dalla comunità di recupero quando sei entrata tu, per questo so chi sei»
«Allora sai cosa si prova» ridacchio e mi siedo sul bordo della base della pila con la schiena appoggiata alla pila stessa. Lei fa lo stesso, rimanendo comunque un po' distante da me; è come se la distanza fisica tra di noi fosse totalmente l'opposto di quello che sto sentendo dentro in questo momento.
«Ci ho provato a smettere, ma niente riesce a farmi stare bene» affermo quasi amareggiata mentre mi accorgo di quanto i miei gesti possano risultare stupidi. So che non si affrontano così le difficoltà, ma so altrettanto bene che rifugiarsi nella droga è mille volte più semplice e veloce.
«Lo fai perché non riesci a smettere di pensare alle cose che ti fanno sentire sbagliata e a quelle che vanno male, non è vero?»
«Esattamente» questa ragazza capisce come mi sento e non potrei stare meglio, in questo momento.
«Sai, è da tanto tempo che ti osservo» continua lei dopo un breve silenzio riempito soltanto dallo scorrere del fiume una decina di metri più lontano da noi.
«E cosa sei, un maniaco?» scherzo un po', in modo che l'imbarazzo tra di noi sparisca del tutto. Ho come l'impressione che questa notte tornerò a casa più tardi del solito.
«Ma no!» esclama lei mentre si libera in una risata che mi fa involontariamente sorridere. Aspiro di nuovo e libero il fumo bianco della mia sigaretta nell'aria; lei, vedendomi persa nei miei pensieri, ne approfitta per avvicinarsi a me.
«Solo... non sono più riuscita a smettere di pensarti da quando ti ho vista per l'ultima volta in comunità» dopo le sue parole, silenzio. Non mi sarei mai aspettata una cosa simile detta da una sconosciuta. Come può, una persona, interessarsi ad un essere come me? Non ho nulla da poter dare a nessuno in qualsiasi senso possibile. Come posso meritare una ragazza che afferma una cosa del genere?
«Ti va di parlare un po'? Di qualsiasi cosa tu voglia, magari dopo ti sentirai meglio» mi sorride mentre si avvicina quanto basta per spegnere la sigaretta che reggevo tra le dita a mezz'aria da circa dieci minuti. Tutto ciò mi ha lasciata di stucco.
«La mia vita fa schifo e non c'è altro da dire»
«A tutto c'è una soluzione»
«Sono tutte cazzate» replico infastidita. Scaglio con prepotenza nel fiume un piccolo sasso con il quale avevo cominciato a giocare poco fa, forse nella speranza di colpire ed affondare anche l'ultima barca utile per tornare a galla dal fondo di questo abisso.
Le rivolgo uno sguardo affranto mentre lei osserva le lancette del suo orologio per poi incontrare i miei occhi cupi qualche secondo dopo; un piccolo sorriso sulle sue labbra, che mi piacerebbe assaporare.
«Posso offrirti qualcosa da bere? » mi domanda cordialmente senza perdere quell'entusiasmo che sto amando senza un motivo preciso. Mi infonde una tale tranquillità che non so quando potrò rivivere, perciò tanto vale approfittarne.
«Ormai è quasi orario di chiusura al bar, quindi non ci sarà più nessuno e potremmo parlare lì» si giustifica t/n subito dopo, ricevendo da me un cenno di assenso con il capo.
«Comunque mi chiamo Ryujin» affermo mentre la affianco lungo il nostro cammino verso il luogo in cui lavora. La vedo ridacchiare e, non so perché, mi sento subito un po' meglio.
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𝗸𝗽𝗼𝗽 𝗼𝗻𝗲𝘀𝗵𝗼𝘁𝘀
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