PART– TIME (CHRISTMAS) LOVERS
Se c'era una cosa che avevo capito in ventidue anni di vita era che più non ti piaceva qualcuno e più il fato, la natura, l'uomo delle nevi, Mago Merlino, Maga Magò, o chi accidenti era a muovere i fili della vita, faceva in modo di piazzarti quel qualcuno nel tuo cammino. Di tirarlo fuori dai meandri più oscuri del mondo e di trascinarlo, un po' come si trascina l'omino banco di Google Maps, lungo la tua via. Della serie che tu te ne stai tranquilla, a districarti in quel gomitolo grottesco, noioso e folle che è la vita e poi... puff, ti ritrovi davanti, come uno stregone che compare all'improvviso da una nuvola di dubbia provenienza, una zanzara formato ragazzo pronta a ronzarti nelle orecchie e a darti del filo da torcere. A cui tu, perché in fondo sei più patetica di quanto voglia ammettere, darai anche più attenzioni di quelle che meriterebbe.
All'età di tre anni mi ero guadagnata, grazie alla mia aria impettita e ai miei rimproveri a ogni adulto in circolazione, il titolo di "Signorina Rottenmeier", superando così la mia bisnonna da cui avevo ereditato il carattere e il nome, conosciuta dall'anteguerra come una donna di ferro. Per rimarcare il concetto: all'età di tre anni avevo superato una donna di più di cent' anni in rigidità e rigore. Ero una persona metodica, ordinata e precisa, per intenderci. Volevo che tutto fosse sotto il mio controllo, perché la più piccola virgola fuori posto mi metteva ansia e mi faceva sentire inadeguata. E quindi, in linea con questo principio, mago Magò ( alla fine avevo optato per lei) mi aveva fatto un bel po' di favori: farmi perdere il lavoro, far allagare il mio misero monolocale con immediato trasloco, e farmi sapere che Genoveffa... cioè Matilde, la cugina più perfetta della storia delle cugine (esisteva di certo un manuale che descrivesse nei dettagli la cugina perfetta, la mamma perfetta, il papà perfetto, e così via per ogni parente) era in procinto di sposarsi con un Marcantonio bello da far invidia persino a Brad Pitt ( e io adoravo i ragazzi biondi, con gli occhi azzurri e i lineamenti nordici) e che volesse a "tutti i costi" che partecipassi al suo matrimonio da favola. Il tutto mi era stato detto dalla sopracitata con la voce più melliflua che avessi mai sentito. Falsa come Giuda, ovviamente, dato che tra me e lei c'era una faida da quando mi ero rifiutata di cederle la mia sediolina di plastica rossa, alla veneranda età di cinque anni, facendola vomitare dalla rabbia nel pianerottolo del condominio in cui abitavo.
Come se la situazione fosse già idillica, come risultato di questa equazione disastrosa, mi ero ritrovata poi tra i piedi, tra capo e collo, tra la cistifellea e il fegato, un cafone chiamato Nicholas Principe. Un principe di nome, ma di certo non di fatto.
Insomma, ero una persona che se osava dire: "Non può andare peggio di così!" era ascoltata da ogni entità mistica che brulicava sul pianeta e nell' Iperuranio che provvedeva, di conseguenza, ad accarezzarsi il mento, ad aprirsi in una risata malvagia e a dire: "Alt! Vacci piano, coccodè, andrà peggio eccome!".
Quando ero particolarmente nervosa per un qualsiasi motivo – il più delle volte lo ero quando qualcosa rovinava i miei piani–, la mia mente, masochista dai tempi dell'asilo quando mi ero dichiarata con tanto di margherita strappata dal terreno della scuola, sotto i rimproveri di suor Germana, a quel puzzolente di Pietro il troll, mi faceva rivivere in loop la prima volta che i miei occhi si erano posati sulla faccia da schiaffi di Principe.
Il tutto era andato più o meno così: Celeste e Diletta, colleghe universitarie e amiche affezionate, mi avevano parlato di questa caffetteria che si era aperta da poco, in cui lavorava un amico fidato di Gabriele, il ragazzo di Celeste, e che era in cerca di personale.
Avevo appena perso il lavoro di segretaria in una casa editrice fatiscente che aveva chiuso per bancarotta fraudolenta ed ero stata cacciata dal mio appartamentino in periferia con la blasfema accusa di non aver chiuso bene i rubinetti del lavandino, quando io, prima di uscire, controllavo persino che ogni maniglia di ogni porta fosse allineata con le fughe delle mattonelle del pavimento. Tutto questo per non ammettere che la colpa era stata unicamente di una cattiva manutenzione all'impianto idraulico dell'edificio. Armata così di bagagli fradici di acqua e malcontento, avevo rimediato un posto nell'appartamentino di Diletta, condiviso anche da un ragazzo che campava di fumo e gomme da masticare e da una ragazza che giocava continuamente a video–games da cui traeva anche beneficio economico. Mammina e papino erano lontani e io, da brava Signorina Rottenmeier, dovevo fare di tutto per tirare avanti senza pesare sulle loro spalle. Soprattutto perché Matilde era già pronta a fare da avvoltoio sul mio cadavere e ogni mio piccolo passo falso sarebbe arrivato alle sue orecchie. E così, con una carriera da fuorisede di lettere, sulla strada dell'esaurimento, e un senso dell'equilibrio alquanto scadente, mi ero lasciata convincere a valutare questa proposta lavorativa. O meglio, a valutare se sarebbe stata meglio la fame se il posto avesse fatto troppo schifo.
STAI LEGGENDO
Part-time (Christmas) Lovers
ChickLit"Quando arrivò il mio turno, quasi non mi accorsi di come la mia mano sinistra, quasi come se avesse preso vita propria in stile Mano, il personaggio de La Famiglia Addams, si fosse infilata nella tasca dei miei jeans. -Scusa, ma i veri gentiluomin...