Capitolo 1

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Niente. Non c'era assolutamente niente che Leya riuscisse a mettere a fuoco. Era circondata da masse bianche  con chiazze colorate (probabilmente pareti con quadri), intorno a lei si muovevano delle masse rosa, blu e azzurre (persone forse?), sul pavimento (bianco, ovviamente, sia mai che in quei luoghi ci fosse originalità in tema di colori) riconosceva degli ammassi verdi che presumeva fossero piante. Sentiva l'odore del disinfettante, sentiva delle voci indistinte che parlavano una lingua che non le era chiara (il che era strano, lei le lingue le capiva molto bene, le veniva facile). Era tutto così bianco, profumato e rumoroso, non era certo il posto per lei, che amava i colori e la tranquillità e i profumi le facevano venire il mal di testa (mannaggia al suo naso ipersensibile), ma aveva giurato che sarebbe andata in quel posto, quello che lei chiamava "l'Inferno", e così aveva fatto.
Una mano le toccò la spalla e una massa rosa sfocata che assomigliava vagamente a un viso le si inserì nel campo visivo. Finalmente Leya riuscì a mettere a fuoco quel tanto che bastava per riconoscere i lineamenti asiatici dell'infermiera. -Allora, sei pronta?- le chiese la donna. Pronta. Come se si potesse essere pronti a una cosa del genere. Si poteva essere pronti per sostenere un esame (ah, quando mai lei era stata pronta per un esame?), pronti per partire per una vacanza (anche questo, quando mai? Era sempre in ritardo e si dimenticava sempre di mettere qualcosa in valigia) o pronti per andare a dormire (davvero parliamo di sonno? Chi è che dorme più di tre ore a notte al giorno d'oggi, dai? O almeno, non era cosa per Leya, che non riusciva mai a svegliarsi più tardi delle 3 di notte), ma non si poteva assolutamente, minimamente, in alcun modo essere pronti a quello (eh beh, certo, non era pronta per le cose quotidiane, figuriamoci per quello). Voi vi sentireste pronti a lasciare la vostra casa, la vostra famiglia, la vostra camera (il vostro porto sicuro, dove scappate quando volete isolarvi), i vostri animali (soprattutto i vostri animali), insomma, vi sentireste pronti a lasciare ciò che conoscete per un posto come quello? Io assolutamente no. E neanche Leya. In vent'anni aveva lasciato casa molte volte, certo, ma nessuno stage di equitazione o nessuna gita scolastica poteva essere paragonata all'Inferno. Ma Leya era una combattiva, si buttava giù in fretta, sì, ma si rialzava, lentamente, ma si rialzava. E quello era il primo passo per rialzarsi, come quando appoggi la mano a terra per aiutarti a rimetterti in piedi quando cadi da cavallo. E Leya da cavallo c'era caduta tante volte.

Con il cuore che galoppava, Leya tirò su il borsone da terra e annuì all'infermiera e, senza proferir parola, la seguì. Niente da fare, non riusciva proprio a parlare nè a mettere a fuoco ciò che la circondava. Eh sì, aveva fatto proprio un bel volo da quel cavallo chiamato vita.
Seguendo l'infermiera, Leya si ritrovò in quella che sarebbe stata la sua camera per quello che si prospettava il periodo più difficile e lungo della sua vita. E ovviamente la camera lo rendeva ancora più difficile. Possibile che in quei posti le stanze erano tutte ugualmente, dannatamente, orribilmente uguali? Originalità zero, caro sistema sanitario. L'infermiera le toccò di nuovo la spalla con fare affettuoso (per quanto possa esserlo un'infermiera sulla cinquantina che ti vede per la prima volta e che sicuramente ti ritiene solo un'altra tra le tante che ha visto) e se ne andò, lasciandole un foglio pieno zeppo di istruzioni, orari e nomi. Okay Leya, basta con il vittimismo, hai messo la mano a terra, ora datti la spinta e rimettiti in piedi. O almeno seduta, che così sei patetica. La ragazza stropicciò gli occhi più volte, fece tre respiri profondi (chiunque dica che tre respiri aiutano a calmarsi evidentemente non è mai finito in un centro per persone con disturbi alimentari, altrimenti saprebbe che è una cagata assoluta e che non serve a molto) e aprì gli occhi. Evviva, la stanza era ancora bianca e aveva ancora due letti d'ospedale separati da una tendina di un insolito colore, decisamente uno di quei colori che non ti aspetti di vedere in un ambiente come quello: bianco. Almeno le lenzuola erano gialle. Un giallo smorto, tipo girasole appassito, ma era già qualcosa, non lamentiamoci troppo. Leya appoggiò il borsone sul letto e iniziò a tirare fuori le sue cose. Di solito un borsone di un paziente ricoverato contiene cose essenziali per sopravvivere al ricovero, quindi il borsone di Leya era pieno, anzi, straripante, di libri, manga e cose per disegnare. Eccerto, che credevate, che ci fossero vestiti? Beh sì, quelli c'erano, ma erano solo tre set di pigiami e qualche cambio d'intimo. Insomma, per un mese le uniche persone a vederla sarebbero stati gli addetti della struttura (medici, psicologi, infermieri), manco lei poteva vedersi, che senso aveva vestirsi come se fosse alla Milano Fashion Week? Okay, forse tre soli set di pigiami erano pochi, ma ehi, quel posto una lavatrice doveva pur avercela, no? E comunque, anche se non poteva vedere i suoi genitori, loro potevano comunque mandarle dei vestiti.
Okay, basta perdersi in pensieri inutili come le lavatrici e i vestiti, era ora di dare un inizio, un inizio vero, a quell'inferno bianco e giallo. E quale modo migliore se non cercando di sistemare i libri in modo che non volassero per terra la notte e non la facessero svegliare con l'ansia che ci fosse un assassino (eddai, non ditemi che voi non avete paura dei botti improvvisi al buio!)?
Mentre riordinava (cosa impensabile, per lei la parola "ordine" significava prendere da sinistra per buttare a destra) la ragazza elaborò un commento fondamentale, una cosa che viene in mente a tutti in momenti simili: quel posto non aveva mezze misure. Insomma, la hall era un mix di suoni, colori e vita, mentre la sua stanza era così vuota e silenziosa. Leya si sentì sola. Insomma, lei amava stare lontana dalle persone, amava il silenzio, spesso declinava gli inviti a uscire per stare nel silenzio di camera sua, ma almeno sapeva che la vita fuori da camera sua non si era congelata e questo la tranquillizzava. Lì, in quel momento, con le Cronache di Narnia in mano (ma con tutti i libri che aveva, proprio un librone da oltre mille pagine si doveva portare?) si sentiva come l'oceano intorno al blocco di ghiaccio che imprigionava Steve Rogers: in movimento intorno al blocco fermo. Era uno Steve Rogers al contrario: lei era l'unica cosa a non essere congelat-

Un amore al grammoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora